La storia dello "squartatore rosso", il serial killer cannibale

Il killer in questione avrebbe ucciso almeno 53 persone, tra cui tante giovani donne, bambine e diversi soggetti fragili

La storia dello "squartatore rosso", il serial killer cannibale

Nel mostruoso pantheon dei serial killer un posto tristemente di rilievo spetta al sovietico Andrei Chikatilo, soprannominato "lo squartatore rosso". Questi è infatti entrato negli annali della cronaca nera come il "peggior serial killer cannibale del mondo". Gli sono stati attribuiti 53 assassinii, accompagnati da "atti sessuali con i cadaveri" e da gesti di estremo sadismo verso le proprie vittime, bambini compresi. L'epopea criminale di Chikatilo, durata 12 anni, si sviluppa a partire da un'infanzia segnata da violenze, povertà e privazioni.

Nato nel 1936 nell'allora Repubblica sovietica ucraina, il futuro "squartatore rosso" si trova costretta ad affrontare, da giovanissimo, una devastante carestia, che avrebbe costretto la sua famiglia a soffrire la fame e a mangiare, pur di riempire lo stomaco, finanche erba e foglie. Le difficoltà di sopravvivere vissute dalla propria famiglia, unite alle atrocità commesse dagli occupanti nazisti durante la Seconda guerra mondiale, avrebbe sempre più fatto familiarizzare Chikatilo con realtà quali il sangue, il cannibalismo, lo sterminio.

Profondamente segnato dall'esperienza della carestia in Ucraina e degli orrori perpetrati dalle truppe tedesche in territorio sovietico, il futuro killer, a guerra finita, avrebbe tentato la fortuna a Mosca, mancando però l'ammissione all'Università statale. Da allora, la stabilità psichica del soggetto in questione sarebbe sempre più precipitata, anche a causa della difficile accettazione della propria condizione di impotenza sessuale.

Nonostante il matrimonio con Feodosia Odnacheva, gli impulsi perversi e violenti di Chikatilo, accentuati dalla propria difficoltà nell'approcciarsi alle ragazze, sarebbero quindi esplosi spingendolo a commettere, a partire dagli anni '60, barbarie su barbarie. La sua prima vittima sarebbe stata una studentessa di nove anni, di nome Lena Zakontnova, da lui conosciuta nel periodo in cui svolgeva infruttuosamente la professione di insegnante.

L'uomo avrebbe soffocato la malcapitata per poi "eiaculare mentre la pugnalava allo stomaco". Chikatilo sarebbe sfuggito alla giustizia grazie all'aiuto della moglie, che gli avrebbe fornito un alibi sufficiente a scagionarlo da ogni accusa per l'uccisione della Zakontnova. Di conseguenza, il killer avrebbe continuato a spargere sangue innocente.

Tra le sue successive vittime ci sarebbero state tante altre minorenni, da lui condannate a sorti orribili: corpi mutilati mediante morsicature, capezzoli straziati, organi genitali mangiati, atti sessuali con i corpi senza vita delle sue vittime. Lui prendeva di mira soprattutto giovani donne, bambini, individui vulnerabili o senzatetto, presidiando principalmente le stazioni di autobus e treni e attirando spesso le sue vittime in dei boschi, nel territorio intorno alla città russa di Rostov.

Chikatilo sarebbe finito nella rete della giustizia una prima volta nel 1984, arrestato e posto agli arresti domiciliari dopo che aveva ucciso almeno 30 persone. Tuttavia, lui sarebbe uscito di galera dopo appena tre mesi, poiché le forze dell'ordine, per colpa di un "errore nell'identificazione del DNA", non sarebbero riuscito a collegarlo con nessuno degli omicidi a lui attribuiti.

Alla fine, lui sarebbe stato intrappolato soltanto nel 1990, catturato da poliziotti sotto copertura mentre si avvicinava a giovani ragazzi per strada con in mano la sua "valigetta da serial killer". In quella valigetta, gli agenti avrebbero trovato gli "attrezzi" utilizzati da Chikatilo per straziare le sue vittime, ossia coltelli, rasoi e altri oggetti affilatissimi e idonei a praticare tagli chirurgici sui corpi dei malcapitati.

Chikatilo avrebbe affrontato il processo nell'aprile 1992, con 53 omicidi a lui attribuiti, in quello che sarebbe stato il primo grande evento mediatico in Russia dopo la caduta dell'Unione Sovietica.

Egli avrebbe ammesso le proprie colpe, denunciando però la propria adolescenza vissuta come vittima delle denigrazioni da parte dei coetanei per via della sua condizione di impotenza. Nel 1994, l'imputato, riconosciuto colpevole, è stato giustiziato da un plotone di esecuzione, che gli sparò un solo proiettile dietro l'orecchio destro.

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