“Volevo salvare mia figlia e invece me l’hanno portata via”. Sara è ancora incredula quando, al telefono, ci racconta di cosa le è successo da quando decise di chiedere aiuto ai servizi sociali, dopo che sua figlia era stata abbandonata in strada dal padre. “Io cercavo aiuto e invece sono finita in una trappola infernale”.
La storia di Sara inizia circa nove anni fa. Quando lei, madre di Giulia (nome di fantasia ndr), diecide di divorziare da suo marito, con il quale viveva a Roma. Inizialmente, tutto procede bene e i due genitori riescono a gestire la bambina con serenità, mantenendo dei buoni rapporti. “Il mio ex marito mi chiamava spesso anche per chiedermi dei consigli, eravamo veramente diventati amici e confidenti”, racconta Sara. Fino a quando il padre conosce un’altra donna, che diventa la sua compagna. “Da quel giorno ha iniziato a non curarsi più della bambina, non la vedeva quasi mai, l’ha completamente abbandonata”. Tanto che, una sera, il papà arriva persino ad abbandonare in strada la piccola di appena appena 8 anni. “Io lo scoprii solo il giorno seguente, quando andai a prendere mi figlia a scuola e lei, in lacrime, iniziò a raccontarmi cosa le era successo”, racconta la mamma. Sara è preoccupata e vedere sua figlia stare male la spinge a chiedere aiuto. “Decisi di andare dai carabinieri e quando spiegai cosa era successo mi dissero che dovevo denunciare tutto ai servizi sociali.”
Da quel giorno per Sara inizia la battaglia. Una lotta estenuante, fatta di pianti e sofferenze, di avvocati e tribunali per riuscire a rivedere sua figlia.
I servizi sociali si presentano un paio di volte a casa del padre e, dopo dei brevissimi incontri, richiedono un provvedimento d’urgenza. La bambina viene affidata a loro. Immediatamente. Una decisione basata su motivazioni risultate poi false. Secondo la relazione della CTU (consulenza tecnica d’ufficio): “Il padre non è persona all’altezza del compito di prendere in carico da solo la figlia”. Mentre per la madre nel decreto si evidenzia “una sospetta Sindrome di Munchhausen per procura”. Secondo i servizi sociali la mamma soffriva di una sindrome che la spingeva a fingere di stare male per attirare l’attenzione su di sé. Sospetto che viene subito smentito, quando Sara decide di sottoporsi a tutte le analisi del caso per eliminare i sospetti. “Io sono affetta da Fibromialgia. Ho dolori in tutto il corpo e ho fatto la CTU sotto morfina. Ma gli assistenti sociali lo sapevano…”, racconta Sara. Dopo gli accertamenti Giulia viene trasferita dalla madre che, nonostante avesse dato prova di non soffrire di nessuna patologia psicologica, non ottiene l’affido della sua bambina, ancora a carico dei servizi sociali di Roma.
Intanto la piccola vive con la mamma e le due vanno d’amore e d’accordo. Poi, la madre decide di cercare di riavvicinare Giulia anche al suo papà. “La forzo a riallacciare rapporti con il padre dal momento che lui chiude la sua relazione, anche indotto dalla CTU, che gli fa capire che avevano individuato in questa donna, un deterrente per vedere la figlia", spiega mamma Sara. Loro cominciano a rivedersi. La bambina adesso ha 12 anni. Passano un po’ di mesi e inizia ad avere atteggiamenti aggressivi con la mamma. “Io inizialmente cercavo di comprenderla, nella mia testa era tutto normale. Davo la colpa all’adolescenza”, racconta Sara. Fino a quando la situazione non inizia a peggiorare. Giulia smette di prendersi cura di se stessa. Non si lava più, non esce, non vuole neanche andare a scuola e inizia a rinchiudersi per ore nella sua stanza, dove arriva persino a tagliarsi e farsi del male da sola. “Un giorno vidi che aveva dei tagli sui polsi - racconta mamma Sara - ero distrutta dal dolore”. La madre segnala la situazione agli assistenti sociali, facendo presente le problematiche. Ma da loro nessuna risposta. Né, tantomeno, un accenno di collaborazione tanto che la psicologa che segue Giulia arriverà persino chiedere di cessare la sedute “vista la scarsa interazione e collaborazione da parte dei servizi in questa situazione”.
La situazione sembra essere irrecuperabile e la madre non sa più a chi chiedere aiuto. “Non sapevo che altro fare. Avevo mandato continue segnalazioni ai servizi sociali, ma nessuno riusciva a fare niente. Mai una risposta. Il padre non collaborava e da quando la bambina aveva riniziato a vederlo, con me non c’era più dialogo.” Fino a quando, un giorno, Giulia cade nell’ennesima crisi, dove dice di non voler più vedere né la madre né il padre. Ma quando si rende conto che la cosa non è possibile, decide di andare a vivere con il papà. Perché, come ammetterà lui stesso agli psicologi, a casa non c’è mai. “Non ci sono mai; non posso occuparmene; non credo alle regole; sono un mollaccione e Giulia sa che da me può ottenere tutto quello che vuole”, aveva dichiarato il papà alla psicologa, come si legge nell'esposto di Sara contro i servizi sociali.
Dopo la decisione di Giulia, il padre va a prenderla a casa e da lì, per un anno, non la farà più vedere alla madre, negandole persino gran parte delle telefonate con continue scuse. “Mi diceva che mia figlia non voleva parlare con me al telefono, oppure che l’aveva chiamata ma era impegnata. In realtà una sera sentii dall’altra parte della cornetta mi figlia gridare contro il padre: “sei tu che non vuoi che io le parli”. Lui voleva che lei rompesse tutti i rapporti con me,” ci spiega la madre.
Sara vuole vedere sua figlia e continua a denunciare tutto ai servizi sociali. Ancora una volta, nessuno prende provvedimenti, nonostante l’aulesionismo della 13enne si ripresenti più volte e Giulia rischi di essere bocciata per le assenze a scuola. Ma, dal padre, nessuno va a verificare la situazione. Sara, non si arrende. “Decisi di fare un nuovo esposto al giudice che convocò gli assistenti sociali per comunicare che sarebbero dovuti intervenire.” Ma questo non succederà. Dunque, giudice ed Assistenti Sociali vengono informati del cambio di collocazione, eppure violano lo stesso precedente decreto che ordinava la madre come collocataria e il padre come persona non “all’altezza del compito di prendere in carico la figlia da solo”. Fino a quando Giulia, ormai 14enne, viene portata in una casa famiglia. I servizi sociali intervengono per il collocamento presso una struttura dichiarando che la richiesta è partita proprio dalla minore. Ma Sara fa fatica crederci: “Mia figlia non sapeva neanche che cosa fosse una casa famiglia…”.
Sara non vede sua figlia da ottobre. “L’ho sentita solo due volte per SMS. Tecnicamente io potrei vederla, anche da decreto sono previsti incontri che gli assistenti sociali dovrebbero organizzare. A livello pratico, servizi sociali e casa famiglia, dicono che è mia figlia che non vuole vedermi. Ma nessuno mi ha mai detto il perchè, nè mi ha fornito maggiori spiegazioni”. Eppure gli ultimi incontri tra Giulia e la madre, quando ancora viveva dal padre, erano andati bene. “Era contenta, affettuosa, andava tutto bene inizialmente- racconta la mamma - secondo la psicoterapeuta pare che ci sia un delirio ossessivo poiché mia figlia sosteneva di vedermi ovunque: sotto scuola, casa famiglia.... Ogni giorno. Ma io non c'ero. Idem con i messaggi: a fronte di uno che ne spedivo lei ne vedeva dieci. Io non so cosa le sia stato fatto.”
Ogni giorno che passa, per Sara, è un giorno in più lontano da sua figlia. La madre è preoccupata e ha paura che qualcuno voglia far adottare la sua bambina ormai adolescente, invece di cercare di a farla tornare da lei.
A maggio di quest’anno è stato redatto un documento che modifica, completamente, le modalità di affidamento nel Lazio, permettendo sia l’affidamento che l’adottabilità di ragazzi anche maggiorenni. Un documento che è stato reso possibile grazie alla collaborazione tra Cismai e Movimento delle Famiglie Affidatarie, lo stesso movimento affidatario che fa capo e ha sede legale nella casa famiglia in cui vive Giulia e che ha, tra le sue partnership, il municipio degli assistenti sociali che si sono occupati del suo caso. Ma non basta.
Tre membri dell’associazione delle famiglie affidatarie hanno partecipato ad aventi e convegni sulla tutela dei minori, presieduti dal Cismai e da Claudio Foti, psicoterapeuta a capo della Onlus Hansel e Gretel ora agli arresti domiciliari per l’inchiesta “Angeli e Demoni” sullo scandalo degli affidi.Sara ripete ancora che continuerà a lottare ma, prima di finire la nostra telefonata, non riesce a trattanere quella è che è la sua paura più grande: “E se anche qui ci fosse un “metodo Bibbiano”? ”.
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