La strage della funivia del Mottarone è un favoloso caso di studio sul giustizialismo italiano, che si nutre di un intreccio perverso: sete di giustizia dell'opinione pubblica, procuratori inclini alle dichiarazioni e stampa affamata di notizie. I tre fattori, presi singolarmente, sono ovviamente comprensibili, combinati diventano esplosivi. La breve vicenda giudiziaria la conoscete. Una pm, Olimpia Bossi, a ridosso della tragedia che ha visto la morte di 14 persone, ha arrestato tre presunti colpevoli. Uno dei tre, il caposervizio operativo, ha confessato di avere bloccato i freni. Gli altri due, il gestore dell'impianto e il manutentore, sono stati chiamati in causa dal primo, e dunque rinchiusi anche essi. I tre sono stati poi scarcerati dal giudice delle indagini preliminari, Donatella Banci Buonamici. Apriti cielo. La Banci sembra essere diventata complice dei presunti colpevoli. E causa di un gran pasticcio tra i magistrati.
Nulla di tutto ciò, il Gip, coraggiosamente, ha fatto il suo mestiere. Si è letta le carte, ha sentito i tre sospettati, ne ha messo uno ai domiciliari e rilasciato gli altri due. Alla faccia di milioni di ore di gridolini garantisti da talk show, qui abbiamo un caso concreto di rispetto della presunzione di non colpevolezza. La Banci non ha deciso che i tre sono innocenti (questo lo prevede la Costituzione), ha semplicemente ritenuto che l'Italia non è la Cambogia di Pol Pot e che non c'era alcun pericolo di fuga che giustificasse il fermo in carcere. I tre, in fondo, si erano presentati spontaneamente in caserma alle due di notte per poi venire arrestati (vi ricordate il caso Scaglia, che si affittò un aereo per tornare in Italia, dove però non trovò un gip alla Banci e si fece mesi di carcerazione preventiva ingiusta?). Ha deciso, contro l'umore dell'opinione pubblica, che la pena non si paga preventivamente, ma dopo sentenza, nonostante il «clamore mediatico». Ha notato che nessuno aveva mai messo in relazione l'incidente con l'avidità di fare quattrini, su cui i giornali hanno titolato in modo suggestivo e senza riscontro. Ha deciso che la chiamata in correità di un reo confesso (quanto varrebbe anche per i pentiti) deve essere supportata da fatti, da prove.
Insomma, abbiamo trovato un giudice a Verbania e ce la stiamo prendendo con la giustizia e le sue presunte liti intestine. Dopo un processo i tre potranno anche essere considerati colpevoli.
Ma fino ad ora dobbiamo solo pensare che pm e gip stanno giocando la loro parte, e che quella del giudice controvento è quella più delicata. La gente vuole subito un colpevole e vendetta, la giustizia non si amministra in piazza o sulle prime pagine dei giornali.
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