Beffate le vittime di Viareggio: due accuse verso la prescrizione

A dicembre si prescrivono due delle accuse nel processo. I parenti delle vittime: "Le nostre famiglie sono distrutte, non possiamo accettarlo"

Beffate le vittime di Viareggio: due accuse verso la prescrizione

Sono passati quasi sette anni dalla strage di Viareggio. Non si è ancora arrivati alla sentenza di primo grado e a dicembre di quest'anno si prescrivono due delle accuse mosse ai 42 imputati nel processo (33 persone fisiche e 9 società): quelle di incendio e lesioni colpose.

"Dopo anni, con le ferite che tutti noi portiamo addosso e le perdite che abbiamo subito, non possiamo accettare che ci dicano che in quella notte non c'è stato un incendio. Se è vero, come ci ripetono le istituzioni, che nel processo si troverà la verità, e poi tolgono pezzi al processo, dove dobbiamo cercare la verità?". A parlare è Marco Piagentini, presidente dell'associazione Il mondo che vorrei, che raccoglie i familiari delle vittime dell'esplosione. Poco prima della mezzanotte del 29 giugno 2009, un treno composto da 14 cisterne cariche di gas propano liquido entra alla stazione di Viareggio a 90 chilometri orari. Un asse sotto a un vagone si rompe, la cisterna deraglia e si rovescia. I macchinisti riescono a fermare il convoglio e lanciare l’allarme. Ma è già troppo tardi: il gpl azzurrino raggiunge le case. C'è una violenta esplosione: le fiamme travolgono abitazioni, macchine, strade e uccidono 32 persone.

"Sono stato svegliato da un forte rumore di ferraglia. Quando ho sentito l'odore del gas, ho capito il pericolo imminente, ma non ne potevo immaginare l'entità. Ho svegliato mia moglie e i miei figli che erano al piano di sopra e siamo usciti. Mi sono reso conto che all'appello mancava Leonardo (il figlio più grande, che all'epoca aveva 8 anni, ndr). Così sono tornato indietro a prenderlo e, proprio quando sono arrivato davanti alla porta di casa, è scoppiato il finimondo: un'onda di fuoco mi ha travolto. Quando ho ripreso i sensi mi sono trovato immobilizzato senza capire dov'ero. Ho provato a urlare: la disperazione ha preso il sopravvento. Sembrava di essere in un forno. Sentivo solo altre urla e macchine esplodere. Poi le ambulanze. Dopo un'ora e un quarto un vigile del fuoco che era nei dintorni mi ha sentito e, con l'aiuto dei colleghi, mi ha estratto dalle macerie. Sono crollato. Mi sono risvegliato dopo un mese e mezzo di coma farmacologico nel reparto di Rianimazione dell'ospedale di Padova".

Piagentini porta i segni della tragedia sul suo corpo, e non solo. Leonardo è stato l'unico dei suoi figli a salvarsi e a dargli la forza per continuare a vivere. Sua moglie Stefania e gli altri due bambini più piccoli, Luca e Lorenzo, non ce l'hanno fatta. "La mia famiglia è stata completamente distrutta. Per questo non possiamo accettare che la prescrizione cancelli tutto quello che è successo quella notte". E per questo ora Piagentini si rivolge al premier Matteo Renzi, perché intervenga per fermarla: “Abbiamo chiesto un nuovo colloquio al ministro della Giustizia Andrea Orlando per fare il punto sulla situazione. Se lo Stato non interviene quelle accuse saranno cancellate. Se si vuole accertare la verità, non ci deve essere la prescrizione”.

Ad oggi solo in primo grado sono state celebrate 63 udienze, una a settimana. Tra gli imputati, accusati a vario titolo di disastro ferroviario colposo, incendio colposo, omicidio e le lesioni colpose plurime, ci sono gli allora vertici di Ferrovie dello Stato e Trenitalia; i tecnici e i dirigenti delle officine Jungenthal e Cima riparazioni: potenti gruppi industriali e finanziari ed i loro amministratori. "Molti di loro nel frattempo hanno fatto carriera. Mauro Moretti è stato promosso da amministratore delegato di Ferrovie ad amministratore delegato di Finmeccanica. Che dobbiamo pensare? La politica l'ha già assolto – ha sottolineato Piagentini -. E vogliamo parlare del nostro ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che è venuto a trovare mio figlio Leonardo ferito in ospedale e l'anno successivo ha nominato Moretti cavaliere del lavoro?".

"Non basta. Nel processo che parla di sicurezza ferroviaria dovrebbe essere presente lo Stato. Invece, dopo una trattativa con Ferrovie, e quindi con se stesso, ha preso milioni di euro del risarcimento danni e si è ritirato dal processo. Provai a scrivere invano una lettera aperta all'allora premier Enrico Letta. Il suo governo aveva deciso. Secondo noi sarebbe stata necessaria la presenza dello Stato, anche per capire cosa non funziona in Ferrovie. Da allora è stato imposto il silenzio su Viareggio".

Il presidente dell'associazione dei familiari delle vittime fa il paragone con il processo sul naufragio della Costa Concordia e la risonanza mediatica che ha avuto: "Di Viareggio, invece, non parla nessuno, tranne in qualche rara eccezione, ad esclusione dei giornali locali. Ogni mercoledì, nell'aula escono fuori cose gravissime e nessuno le racconta. Poi in Italia ci scandalizziamo, giustamente, quando Schettino va a tenere corsi in università. Ma se Moretti va a parlare di legalità alla Chiesa Francescana oppure di sicurezza ai convegni, nessuno si scandalizza".

Sul processo pende in realtà anche un'altra spada di Damocle: gli imputati e le società hanno fatto ricorso al Tar per chiedere di accertare la correttezza nella nomina dei componenti del collegio giudicante (presidente Gerardo Boragine, a latere Nidia Genovese e Valeria Marino). Il Tribunale amministrativo ha però escluso la propria competenza, dichiarando che semmai a decidere debba essere il giudice ordinario, ossia lo stesso Tribunale di Lucca che aveva costituito il collegio di Viareggio. "Così il dottor Boragine ha confermato la correttezza della nomina. Ma non è escluso che questa questione venga riproposta in Appello o, peggio, in Cassazione. In questo caso, se i giudici decidessero di accogliere il ricorso, si partirà da capo. Dopo anni e anni di processo e col rischio di prescrizione di altri reati. Del resto, che la prescrizione non sia giusta lo ha detto lo stesso premier Matteo Renzi dopo il processo Eternit. Ora gli chiediamo di agire per fare in modo che ci venga resa giustizia", sottolinea Piagentini.

Nonostante le battaglie condotte sino ad oggi per la sicurezza dei treni, nel trasporto delle merci, lui è convinto che non sia cambiato nulla: "I rischi sono identici. Perché quel picchetto che secondo i periti ha perforato il sistema continua a essere sulle ferrovie.

E, nonostante i passi da gigante delle tecnologie, le modalità di controllo adottate non cambiano, perché forse non c'è la volontà di fare sicurezza: è più facile attivare delle assicurazioni. Questi treni continuano a girare non solo a Viareggio, in tutta Italia".

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