La strategia della denigrazione

Dal 2018 sono usciti diversi articoli su spese che non facevano parte della mia attività politica. L'interrogativo: c'era una strategia volta a screditare alcuni personaggi politici del centro-destra?

La strategia della denigrazione

Il 2 giugno del 1981, appena tre mesi dopo la scoperta degli elenchi degli affiliati alla Loggia P2, venne presentata in Parlamento la proposta di costituire una commissione d'inchiesta. «I fatti - scrivevano i promotori - non possono essere considerati alla stregua dei molti scandali che hanno costellato la vita politica italiana». A settembre dello stesso anno la commissione, una bicamerale, composta da deputati e senatori, fu insediata, presieduta da Tina Anselmi. Molti in queste settimane hanno paragonato, io credo a ragione, lo scandalo del dossieraggio all'interno dell'Antimafia alle vicende della Loggia organizzata da Licio Gelli. Per dimensioni del fenomeno infatti, migliaia e migliaia di documenti illegalmente sottratti dalle più delicate banche dati del paese, il ruolo delle persone coinvolte, l'importanza delle istituzioni di cui fanno parte i pubblici ufficiali coinvolti, dall'antimafia all'antiterrorismo alla Guardia di finanza e la lunghezza nel tempo del fenomeno, scoperto solo grazie all' intraprendenza del ministro Crosetto e alla sua denuncia, tutto ciò è di tale portata da non poter essere derubricato ad evento minore nella storia della Repubblica. Lo scrivo sentendomi un filo in colpa: sono infatti tra coloro che furono dossierati dal finanaziere Striano e compagni fin dal 2018, quando il settimanale l'Espresso pubblicò una serie di servizi in cui, incredibilmente, comparivano estratti dei miei conti correnti personali e spese totalmente estranee alla mia attività politica. I pezzi pubblicati erano firmati da Giovanni Tizian, giornalista oggi sotto inchiesta per questo a Perugia. Le fughe di notizie continuarono negli anni a venire, pubblicate come esclusive oppure rilanciate in seconda battuta da altri due giornali manifesto del giustizialismo italiano: il Domani di Carlo de Benedetti e il Fatto Quotidiano. E dietro alle notizie, editoriali, commenti, prese di posizione di esponenti politici in una sorta di strategia comunicativa dai contorni e dalle responsabilità ancora non affatto chiarite, ma certamente indirizzata a sostegno di quel populismo giustizialista che in quegli anni cresceva nel paese, alimentato da alcuni schieramenti politici e talune correnti culturali della magistratura. Allora per primo sottovalutai il fatto che pur mi riguardava. Oggi, dopo quello che è venuto alla luce ogni sottovalutazione sarebbe assai più colpevole. Non si tratta di sovrapporsi alle indagini del procuratore Cantone, come ripete qualcuno con sospetta prudenza, ma di comprendere tutti gli aspetti di questo scandalo che vanno oltre quello strettamente penale. Quale era il fine di tanto lavoro? Vi era un disegno che collegava alcuni giornalisti, almeno un magistrato, altri uomini dello Stato? La ricerca mirata ad arte di documenti inerenti personaggi politici, per lo più di centro-destra e la loro pubblicazione sistematica e coordinata, rientrava in una strategia volta a screditare un pezzo di vita pubblica del paese secondo una linea moralista e giustizialista propria di alcune forze parlamentari e tipica di alcuni organi di stampa? Qual è stato il ruolo di alcuni personaggi, vedi l'ex capo della antimafia Cafiero De Raho, oggi deputato Cinque Stelle?

Il magistrato oggi si difende dicendo di aver abbandonato il suo ruolo prima dello scandalo. Ciò non è vero, nel 2018, quando uscirono sui giornali i primi dossier che mi riguardano ad esempio, il dottor De Raho era saldamente alla guida dell'Antimafia. E ancora, da quei dossier illegali e da quelle notizie di stampa, sono nate in altri luoghi successive indagini ed inchieste che poi hanno vissuto una vita autonoma, ma contribuito a screditare una classe dirigente nel suo complesso?

Insomma, dietro quanto venuto alla luce vi era un disegno di destabilizzazione di sistema, o solo presunti crimini isolati?

Dietro singoli reati o abusi commessi da appartenenti alla Loggia P2 gli approfondimenti dell'epoca portarono a delineare coinvolgimenti e contorni di quella che fu definita «Strategia della tensione», volta a provocare una svolta a destra nella politica del Paese sfruttando la paura del caos e dell'estremismo. Dietro anni di spionaggio e divulgazione di notizie tutte volte a screditare una classe dirigente credo non sia difficile individuare una «Strategia della denigrazione», volta ad agevolare una svolta qualunquista e giustizialista.

Non credo sia sufficiente l'inchiesta della Procura di Perugia, che dovrà individuare in sede penale reati e responsabili, a dare tutte le risposte che i cittadini meritano su questa stagione di veleni. E neppure può bastare il saltuario impegno della Commissione Antimafia che fino ad oggi ha affrontato il tema con un ordinario calendario di audizioni. Una commissione, l'Antimafia, che, con singolare conflitto di interessi vede lo stesso De Raho, seduto sulla importante poltrona di vice-presidente.

Anche nel caso della P2 la magistratura indagò ovviamente, ma questo non impedì al Parlamento di ricercare tutte le connessioni, le responsabilità, le strategie, i rapporti diretti e indiretti che ruotavano intorno alla Loggia, magari estranei al diritto penale, ma fondamentali a comprenderne il ruolo e sopratutto le conseguenze delle sue attività sulla vita politica e sociale del Paese. Credo che questo lavoro sia indispensabile anche oggi.

In un Parlamento dove non si sono mai lesinate commissioni anche su temi francamente di minore impatto sulla vita democratica, credo sarebbe opportuno rapidamente istituire su questi fatti una commissione di inchiesta bicamerale. E forse scopriremo la vera natura di tante vicende di una stagione politica cominciata alla metà del decennio scorso e i cui contorni meritano un lavoro assai più profondo di quello fatto fino ad oggi.

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