"Siamo stati costretti a trasferirci, avevamo tutto il paese contro". Sono le parole del padre di una ragazza vittima di abusi sessuali, ripetuti e reiterati nel tempo, da parte di un branco di coetani. Una vicenda personale che ha finito per risucchiare l'intera famiglia della giovane, costretta, a mali estremi, a dover abbandonare il paese d'origine per ritrovare un po' di serenità.
Sono passati ben 5 anni dalla dolorosa circostanza ma il ricordo di quei giorni tetri non sembra essere sbiadito affatto. Forse perché, in fondo, certe ferite stentano a rimargine in fretta, soprattutto se trovano terreno fertile nei luoghi comuni di una piccola realtà dell'entroterra. Lo sanno bene due genitori di Melito Porto Salvo (Calabria) che, a ragione del torto subito, hanno dovuto difendersi dalle ostilità di un'intera comunità, schierata a difesa dei carnefici della loro giovane figlia 13enne.
Tutto comincia 5 anni fa, quando la ragazzina finisce nel mirino di un branco 5 di stupratori. Ogni giorno, la ghenga di malintenzionati attende la vittima all'uscita di scuola, con lei si allontana negli anfratti di fortuna e, a turno, i membri del branco la violentavano. Il padre della 13enne si accoge delle atrocità a cui la figlia è costretta dalla lettura di un tema scolastico. Non perde tempo e decide di denunciare rapidamente i fatti ai carabinieri. Cominciano le indagini, gli interrogatori e il lungo viavai dalle aule di tribunale. Alla fine, la giustizia sembra premiare il coraggioso papà: i 5 vengono condannati in primo grado con pene dai 6 ai 9 anni di carcere. Gli auguzzini sono Davide Schimizzi, fratello di un poliziotto, Michele Nucera, Lorenzo Tripoli, Antonio Virduci, figlio di un maresciallo dell'esercito e Giovanni Iamonte, "astro nascente"di un clan della 'ndragheta. Ma è ancora troppo presto per cantare vittoria.
Dopo la denunce le condanne e le reclusioni, i 5 vengono scarcerati in attesa del processo d'Apello. Per la 13enne e i suoi genitori comincia un vero e proprio inferno. Tutti, a Melito di Porto Salvo, vengono informati della vicenda. Il paese è piccolo e il pettegolezzo corre veloce, si diffonde a macchia d'olio tra le persone del posto. E, come nel peggiore degli incubi, la vittima si trasforma nel carnefice. La famiglia comincia ad essere bersagliata da "avvertimenti di un certo tipo", minacciata in modo persecutorio da molti compaesani.
"Sono andato a parlare con uno dei papà di questi ragazzi - dice alle pagine del quotidiano La Stampa - mi ha detto che mia figlia si era fatta una brutta nomina in paese. Altre persone mi dissero che non dovevo denunciare. Lasciavano intendere tutti come se mia figlia avesse meritato quella violenza". Nonostante le condanne.
Stretto dalle circostanze, con gli stupratori a piede libero, l'uomo è costretto trasferirsi al Nord per mettere al sicuro la sua famiglia. "Ho dovuto lasciare quello che avevo di più caro a Melito", dice.
Sono passati 5 anni da quella terribile vicenda, la bambina adesso è cresciuta, ha 18 anni e si è diplomata all'istituto professionale lo scorso giugno. Ma resta l'amarezza: "Noi siamo qua, quei ragazzi invece sono stati scarcerati".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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