Quando si esaminano i sistemi fiscali, l'Italia si colloca sempre ai primi posti. Non c'è quindi molto da stupirsi che ora l'Ocse rilevi che siamo uno tra i Paesi in cui l'economia privata subisce il maggiore salasso. Per giunta, lo Stato italiano è incapace di reperire risorse in altro modo rispetto alla tassazione. Se siamo in cima alla lista di quanti fanno cassa con le entrate tributarie, questo dipende anche dal fatto che non privatizziamo quasi per nulla: e per questo siamo costretti a spremere in tutti i modi il contribuente.
Ovviamente, il problema fondamentale sta nella spesa. Dopo avere ignorato le indicazioni proveniente da ben quattro tecnici incaricati di delineare una riduzione delle uscite (le famose spending review, tutte naufragate), ci troviamo bloccati in questo pantano di tributi vari che ostacolano la crescita e obbligano tanti giovani a emigrare.
Avremmo bisogno di una vera rivoluzione culturale. Sul piano etico, dovremmo infatti avvertire quanto sia ingiusto che alcuni (i governanti) sottraggano ricchezza ad altri (i governati). Perché solo nei Paesi in cui rimane viva una qualche inquietudine dinanzi al prelievo che il settore pubblico esercita a danno di quello privato si può avere una qualche forma di resistenza che blocchi tale spirale fatta di imposte e corruzione.
Dovremmo poi comprendere che ogni tassa altera l'allocazione delle risorse sul mercato e distorce i prezzi, causando problemi a catena. Per questa ragione il problema non è sostituire una tassa con un'altra, ma ridurre la pressione fiscale nel suo insieme.
Per fare questo, però, bisognerebbe ridimensionare l'intervento pubblico: non soltanto eliminando gli sprechi, ma soprattutto sottraendo competenze al potere statale. Lo Stato fa quasi tutto e lo fa male. Se privatizzassimo una serie di settori (ospedali, poste, ferrovie, energia, ecc.) e li consegnassimo alla concorrenza di mercato, faremmo cassa con le privatizzazioni e senza spremere cittadini e imprese, ridurremmo le uscite, miglioreremmo la qualità dei servizi e porremmo le premesse per una società più dinamica.
Sarebbe anche molto opportuno localizzare spesa e tassazione. Il recente voto referendario in Veneto e in Lombardia è stato un segnale importante: le periferie vogliono essere protagoniste e governarsi da sé. Assecondare simili richieste inizierebbe a restituire responsabilità a un'Italia che non può andare avanti così.
Ormai è chiaro che certe riforme sono quasi impossibili a Roma, mentre sono più facilmente realizzabili in questa o quella realtà locale. La legge sanitaria lombarda del 1997, che ha aperto la strada alla concorrenza ospedaliera dei privati, non sarebbe mai passata a livello nazionale a causa delle resistenze sindacali e delle opposizioni ideologiche. Valorizzare le regioni e i comuni potrebbe agevolare l'uscita dal tunnel.
Prima di morire di tasse, insomma, bisognerebbe provare a fare qualcosa.
Carlo Lottieri
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