La tentazione di Matteo: restare al potere per battere Craxi

La tentazione di Matteo: restare al potere per battere Craxi

Più si avvicina il D-day, più diventano insistenti le voci secondo cui Matteo Renzi non sarebbe poi così deciso a lasciare Palazzo Chigi in caso di vittoria del No (purché, ovviamente, i numeri non siano impietosi). Anzi, ormai da qualche giorno, diversi degli interlocutori con cui il premier ha parlato ipotizzano che si stia convincendo a restare in sella, così da poter gestire la difficile transizione che accompagnerà il Paese alle elezioni nel caso la riforma venga bocciata. Le ragioni sarebbero diverse, alcune più valide e altre meno. Anche se, racconta un parlamentare che a Palazzo Chigi è di casa, una di quelle che più fa presa su Renzi è la voglia di salire sul podio dei governi più longevi della Repubblica, scalzando al terzo posto un mostro sacro come Bettino Craxi.

D'altra parte, che il leader del Pd a certi dettagli tenga molto è cosa nota. Il traguardo è ormai ad un passo, visto che proprio ieri il suo governo ha staccato il tagliando dei 1.013 giorni di crociera: solo 80 meno dei 1.093 del primo esecutivo Craxi, metà Anni Ottanta. L'obiettivo sarebbe quello di arrivare almeno al 19 febbraio 2017 e piazzarsi al terzo posto. Davanti a quel punto resterebbe solo Silvio Berlusconi, che occupa i due gradini più alti del podio: il suo secondo esecutivo, dal 2001 al 2005, è durato 1.412 giorni; il Berlusconi IV, dal 2008 al 2011, 1.287. «È difficile, ma se vince il Sì - si è lasciato andare il premier in alcuni colloqui privati - arriviamo a scavalcare Craxi e saliamo sul podio». Il che non sarebbe solo un dettaglio per i maniaci delle statistiche, ma la certificazione di quanto Renzi - nonostante la sua giovane età - abbia già inciso sulla politica.

Ragionamenti che lasciano supporre una certa sua inclinazione a venire incontro alle richieste del Quirinale nel caso dalle urne dovesse uscire vittorioso il No. Dopo l'altalena dei mercati e una serie di appelli alla responsabilità, Renzi si farebbe per così dire «convincere» a restare, in modo da guidare la transizione. E qui sta il punto. Record di longevità a parte, l'aria che si respira ormai da settimane nel Pd è quella del redde rationem. E se la riforma venisse bocciata per il premier non sarebbe affatto facile parare i colpi. Il fatto che uno prudente come Dario Franceschini non si faccia problemi a definire Renzi un «irresponsabile» nei capannelli di deputati dem in Transatlantico dà la misura di quanto le cose vadano precipitando. Il timore è che il cappello di segretario Pd potrebbe non essere sufficiente a Renzi per difendersi dall'assalto interno. Mentre continuando a sedere a Palazzo Chigi avrebbe più facilità di manovra.

E molta meno ne avrebbero i suoi oppositori - non solo Franceschini, ma anche il Guardasigilli Andrea Orlando - che, continuando a ricoprire i rispettivi incarichi, farebbero fatica a sparare apertamente sul «loro» premier.

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