Non bisogna mai pregare il destino, il rischio è che ti ascolti, a modo suo. La svolta è arrivata. Il mercato globale si sta dissolvendo, le linee della rete sono interrotte, si sfaldano, e una guerra riesuma vecchi demoni. È il tramonto della globalizzazione, con i suoi chiaroscuri, le speranze e le colpe. Solo che non si torna indietro, ci si avventura in una terra sconosciuta, dove non c'è traccia di un altrove più sano e più saggio, ma il nuovo caos di imperi in subbuglio.
L'unica cosa certa è che ne usciremo più poveri. È il tempo della decrescita. Ne parla, quasi senza speranza, anche Ignazio Visco. Il governatore della Banca d'Italia traccia le linee di come sarà il futuro economico. Quello che stiamo vivendo è un cambio di paradigma, una di quelle rivoluzioni che spostano l'asse della storia. «L'equilibrio economico, finanziario e sociale emerso alla fine della Guerra Fredda non esiste più». È la conseguenza della pandemia e dell'inferno di Putin sull'Ucraina.
È il fallimento etico del capitalismo finanziario. È il risveglio dei nazionalismi e le rivendicazioni contro libertà e democrazia dei nemici della società aperta. È tutto questo e tanto altro. Il costo più immediato Visco lo sintetizza con i numeri: «Più di 100 milioni di persone torneranno in stato di povertà estrema». È un prezzo alto da pagare e non è il solo.
La decrescita sta facendo deragliare tutti i piani ecologici. Tutti i discorsi su come fermare l'apocalisse della Madre Terra sono ancora lì, necessari, urgenti, con il calendario che corre e i cambi di passo da fare, ma non sono più il centro della scena. La pandemia e la guerra sono l'onda d'urto con cui il presente ha scacciato il futuro. È l'emergenza del qui e adesso. È il prezzo del gas e delle altre materie prime che sale alle stelle. È che senza energia non c'è produzione e non c'è lavoro. È la paura del prossimo inverno. È la carestia di grano. È la povertà.
È così che in questo momento tutti i governi sospendono quella che in gergo brutto e burocratico si chiama «transizione verde». No, non è solo l'Italia che per disperazione torna a evocare le miniere di carbone. L'esempio forse più illuminante è forse quello di Robert Habeck, il vice cancelliere tedesco e ministro dell'Economia con delega alle politiche ambientali. Habeck a metà marzo è andato in giro per la Norvegia a stringere accordi per l'acquisto di gas. L'aspetto che un po' sorprende è che stiamo parlando del presidente dei Verdi, uno che ha impostato la sua politica solo sull'energia rinnovabile. È un caso particolare che però racconta bene il cambio di prospettiva.
Questa situazione però indica anche un cambio nelle politiche ambientaliste. È una crepa nell'ideologia «verde». La decrescita non è la strada più saggia per fermare l'inquinamento.
La realtà è che non si può tornare indietro e solo uno
sviluppo tecnologico intelligente può salvare il pianeta. È l'idea dei riformisti. È un mondo ricco che ti consente di fare scelte costose. La povertà ti riporta al qui e adesso, perché ora lo vediamo bene: il futuro è un lusso.
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