Il testamento di Marina e la via italiana alla dolce morte

Il testamento di Marina e la via italiana alla dolce morte

Nel suo dolore insondabile, Marina Ripa di Meana ha lasciato questo mondo in un modo che apre, o riapre, domande e ferite. La regina dei salotti, nel video testamento letto da Maria Antonietta Coscioni e reso noto da Radio Radicale, confessa di aver pensato al suicidio assistito. Voleva morire di eutanasia in Svizzera al termine di una battaglia di 16 anni contro il cancro. Si è rivolta alla vedova di Luca Coscioni per sapere come fare. E l'ex deputata radicale le ha suggerito la «via italiana delle cure palliative con la sedazione profonda» e le ha presentato una specialista, la quale ha accompagnato Marina Ripa di Meana negli ultimi giorni di vita, facendo sì che si spegnesse a casa propria, accanto agli affetti più cari, assistita a dovere, senza dover intraprendere il viaggio fatto da Dj Fabo e altri.

Quando la vita si fa breve, tra medico e paziente si instaurano rapporti umani personalissimi che non vanno giudicati. La questione più incandescente è un'altra, ed è il parallelismo che il videotestamento propone tra la sedazione profonda e le cliniche elvetiche che praticano l'eutanasia, come se l'una fosse un surrogato delle altre. In Italia le cure palliative sono previste da una legge del 2010 che pare mezza Europa ci invidi. Non tutti gli ospedali le garantiscono ai pazienti, sembra che addirittura il 30% dei malati non possa disporne. Ma fuori dalle strutture sanitarie pubbliche, privatamente, i pochi palliativisti sono disponibili per chi se le può permettere.

Cure palliative ed eutanasia sono cose diverse. Differenti i trattamenti, le finalità, la disciplina. Le cure palliative vengono decise nel rapporto tra medico e paziente; prevedono che vengano somministrati farmaci i quali annullano la coscienza per annullare il dolore. Si praticano quando la malattia è avanzata e al paziente non restano che poche ore, o pochi giorni, di vita. Le cartelle cliniche devono registrare dosaggi, monitoraggi, consensi. Non sono azioni dirette a provocare la morte, ma ad alleviare il dolore.

Tuttavia la scelta di Marina Ripa di Meana di presentarle come alternativa alle cliniche svizzere rischiano di trasformare, nei fatti, la sedazione profonda in un succedaneo del suicidio assistito. Essa non è eutanasia, d'accordo, ma l'effetto è il medesimo. Un segnale analogo era già giunto un anno fa quando un malato di Sla, Dino Bettamin, chiese di essere sottoposto a sedazione profonda continua perché per lui, immobilizzato a letto dalla sclerosi, nutrito e ventilato artificialmente, la vita non era più vita. Benché non fosse un malato terminale come Ripa di Meana, non gli è stato staccato il respiratore né tolta l'alimentazione né somministrati farmaci che hanno resa repentina la sua ultima ora. Bettamin non chiese di interrompere terapie e alimentazione, come invece aveva fatto Piergiorgio Welby. Tecnicamente non ha fatto ricorso all'eutanasia, tutto si è compiuto secondo la legge. Ma l'interrogativo è inevitabile: che sia stata un'eutanasia mascherata? Forse che, nelle pieghe di una legge salutata come conquista civile, si annida una scorciatoia verso la morte dolce? Le domande si accavallano, questo «scegliere la morte» di Bettamin e Ripa di Meana riaccende dubbi drammatici. Che sono la vera eredità trasmessa da entrambi.

Anche Bettamin lasciò una lettera. C'è sempre tanto da spiegare quando si prendono decisioni così estreme. Il messaggio lasciato da Marina Ripa di Meana prima di addormentarsi per sempre è che «non è necessario andare in Svizzera» per anticipare la morte. Esiste una «via italiana» per evitare sofferenze inutili. Tra sedazione ed eutanasia la linea di demarcazione non appare più così netta come nei trattati medici e bioetici.

Per un profano, cioè per tutti noi, il lascito postumo di Marina Ripa di Meana cancella le differenze. La donna che visse sfidando ogni convenzione sociale se n'è andata scombinando anche le asettiche certezze della scienza. E smascherando le scorciatoie nascoste nelle leggi.

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