Sui profili degli utenti Facebook, negli ultimi giorni, sta comparendo un messaggio: “Comunicazione importante”. Alla nota è collegato un link che rimanda a un testo. Ma di cosa si tratta? La notifica fa riferimento a una vecchia sanzione comminata al social network dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato per una pratica commerciale scorretta. Bisogna ritornare indietro di quasi tre anni, al novembre del 2018, quando l’Agcm specificò che Facebook non aveva informato adeguatamente e immediatamente i consumatori, in fase di attivazione dell’account, sull’attività di raccolta, con intento commerciale, dei dati da loro forniti. In tal modo i vertici del social network hanno indotto i consumatori a registrarsi sulla piattaforma Facebook, enfatizzando anche la gratuità del servizio.
In effetti, iscriversi non ha alcun costo, ma i dati degli internauti incamerati vengono da sempre usati a fini pubblicitari, producendo un’entrata economica per Facebook. Insomma, l’ambiguità del social network aveva spinto l’Autorità garante a intervenire. L’Agcm aveva chiesto di eliminare la dicitura che allora compariva:"È gratis e lo sarà sempre" e di illustrare in maniera chiara agli utenti l’utilizzo a fini commerciali dei loro dati personali. Facebook ha obbedito a metà, eliminando la scritta nel 2019, ma evitando di fornire spiegazioni agli iscritti. Ciò che appare in queste ore sui profili di coloro che sono registrati al social è un tentativo di porre rimedio alla richiesta dell’Autorità garante.
Ma cosa cambia per gli utenti? In pratica, assolutamente nulla se non il fatto di venire a conoscenza che i propri dati personali sono usati da Facebook a scopi commerciali e che i vertici del famoso social network hanno fatto pubblicità ingannevole. Ciò è costato caro al proprietario Mark Zuckerberg, il quale nel 2018 ha dovuto pagare una prima multa di 10 milioni di euro, mentre a febbraio scorso è arrivata una nuova sanzione, questa volta di 7 milioni di euro, “per non aver attuato quanto prescritto nel provvedimento emesso nei loro confronti quasi tre anni fa”.
Andrea Lisi, legale esperto in diritto dell’informatica, al Corriere della Sera ha sottolineato che la vicenda giudiziaria aiuta a inquadrare il fenomeno, ma rimane una “goccia nell’oceano”.
Ci sono ancora tanti interrogativi sullo strapotere delle piattaforme social a cui si dovrebbero dare risposte: “Quali garanzie il fornitore dovrebbe rilasciare agli utenti? Come garantire i minori?”, ha commentato Lisi. Difficile che a rispondere saranno le piattaforme di propria spontanea volontà.
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