Vivevano in un capannone tra taniche di liquido infiammabile e rifiuti. Sono stati trovati in queste condizioni trenta cinesi in un tomaificio di Trani, in Puglia. Cucivano il cuoio, ma ci stavano per rimettere la pelle. Il blitz è avvenuto lo scorso novembre e ad effettuarlo sono stati i carabinieri di Trani, i tecnici dello Spesal e la polizia locale. Ieri, dopo la decisione del giudice Silvia Curione, è scattato il provvedimento di sequestro preventivo del capannone.
Tre le persone denunciate a vario titolo: il proprietario e il locatario del capannone a cui sono state contestate le violazioni dell'immobile e il titolare dell'azienda, un cittadino di nazionalità cinese residente a Ruvo di Puglia denunciato per omissioni in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro. É stata riscontrata la mancanza di un medico, del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e la valutazione dei rischi. La destinazione d'uso del capannone sarebbe dovuta essere commerciale, ma in realtà in parte era utilizzato come dormitorio e mensa. I cinesi dormivano in stanze buie e senza finestre.
Le sale adibite alla mensa erano senza servizi igienici.
I dipendenti, tutti con regolare permesso di soggiorno, dormivano per terra o su materassi di fortuna, tra rifiuti e alimenti.Una condizione di vera e propria schiavitù, sogni rubati a chi è venuto in Italia regolarmente per cercare lavoro e si è accontentato di vivere in un capannone dove a farla da padrona c'era solo la mancanza di scrupoli.
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