Il significato attribuito dal Cremlino al vaccino anti-Covid è già nel nome. Si chiamerà Sputnik, come il satellite che nel 1957 aprì la corsa allo spazio con gli Stati Uniti. Allora guidare la sfida cosmica significava trasmettere agli alleati la consapevolezza di essere sul carro del più forte. Oggi annunciare la messa a punto del primo vaccino anti-Covid seguita da una campagna d'immunizzazione della popolazione russa e da una commercializzazione a prezzi di favore nei Paesi amici ha lo stesso valore. Anche per questo la diffidenza degli scienziati occidentali scettici sul cammino sperimentale seguito da Gamaleya, l'istituto russo titolare della ricerca, è quantomeno ingenua. «La Russia scoprì di avere un satellite in orbita solo al quinto giorno di volo dello Sputnik», spiega Kirill Dmitriev responsabile del fondo sovrano russo finanziatore della ricerca. Le sue parole fanno capire che quel vaccino non è solo una risorsa sanitaria, ma una vera e propria arma strategica. La sua messa a punto regalerebbe alla Russia l'egemonia mondiale nella lotta al Coronavirus, rimetterebbe in moto le sue fabbriche e restituirebbe a Vladimir Putin una popolarità parzialmente appannata dallo stesso virus. Proprio per questo viene sviluppato in un clima di segretezza simile a quello che accompagnò la corsa allo spazio o al nucleare. E i dati capaci di comprovarne l'efficacia non verranno divulgati prima della commercializzazione. Per questo analizzarlo solo dal punto di vista medico escludendone la dimensione geo-politica ha poco senso. Per capire le strategie di un Putin, pronto a citare la sperimentazione sulla figlia per garantire l'efficacia di Sputnik 5, va esaminato il complesso scacchiere su cui il vaccino farà sentire i propri effetti politico-sanitari. Mosca ha già spiegato che la sperimentazione avverrà d'intesa con Arabia Saudita ed Emirati Arabi, due nazioni con cui Mosca collabora sempre più strettamente nell'ottica di un controllo del Medioriente. La Cina pur di trovare un rimedio in grado di riscattare la sua immagine di grande untore mondiale, e recuperare quella di grande rivale degli Usa, ha mobilitato i propri laboratori militari trasformando in cavie umane migliaia di soldati e mettendoli a disposizione delle aziende farmaceutiche di Stato. A Washington, invece, Donald Trump conta sui dieci miliardi di dollari investiti nell'Operazione Warp Speed (Operazione Velocità di Curvatura) per annunciare la distribuzione di 300 milioni di dosi di vaccino e ribaltare le fosche previsioni elettorali che lo danno sicuro perdente alle presidenziali di novembre. Ma quell'operazione finanziata dalle strutture sanitarie federali e condotta da varie aziende farmaceutiche, ha anche una dimensione geo-politica. Non a caso Trump non esita a paragonarla a quel progetto Manhattan che consegnò all'America il primo ordigno nucleare trasformandola nel vero e indiscusso vincitore della Seconda Guerra Mondiale.
Avvilente invece l'assenza dell'Unione europea che - complici gli egoismi nazionali e la mancanza di una politica estera - ha rinunciato ad una strategia comune anche sul terreno della ricerca del vaccino. E infatti grandi aziende come la Sanofi francese o la tedesca BionTech hanno preferito i dollari di Washington alle incertezze di Bruxelles.
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