Kamala o Donald? Inutile stare appresso alle dichiarazioni di circostanza se si vuole scoprire davvero tra i nostri politici chi tifa per chi tra i duellanti per la Casa Bianca. Bisogna semmai scrutare più gli umori e, soprattutto, le ambizioni. Di certo le elezioni americane possono condizionare la politica italiana non tanto rispetto alla durata del governo (che nessuno per ora mette in discussione), quanto per le strategie dei singoli leader perché, vuoi per provincialismo o per esperienza, tutti sono consapevoli che c'è un'assonanza tra ciò che avviene a Roma e Oltreoceano. Basta guardare alle cronache passate: Berlusconi è stato fortissimo quando a Washington regnava George W. Bush mentre la sua crisi nera coincise con l'arrivo di Barack Obama; Matteo Renzi è durato a Palazzo Chigi fino al 2016 anno in cui Donald Trump successe ad Obama alla White House; e con The Donald a Palazzo Chigi nacque il primo e unico governo populista-sovranista in Italia, il Conte uno, con dentro grillini e Lega. Magari saranno solo coincidenze ma ci sono decine di riscontri nella Storia della Repubblica, per cui è difficile negare un sottile legame tra le stagioni politiche italiane e gli inquilini alla Casa Bianca.
Anche oggi c'è chi ripone le sue chance di rivincita proprio su chi sarà scelto come nuovo numero «uno» USA. Da questo punto di vista l'epilogo più destabilizzante (e il più probabile ad osservare le scommesse e l'orientamento dei fondi di investimento) è l'avvento di Trump. Intanto perché a stare alle sue parole The Donald con la sua politica stresserà non poco l'Unione europea: nelle sue intenzioni non avremo i dazi al 60% con cui penalizzerà le esportazioni cinesi ma al 20% sì e ciò non aiuterà di certo l'economia Ue, alle prese con una difficile congiuntura e con una locomotiva tedesca praticamente ferma. Per non parlare della crisi Ucraina, sulla quale ha idee meno bellicose di Biden verso Putin ma per nulla coincidenti con la politica portata avanti finora dall'Unione.
L'arrivo di Trump destabilizzerà anche i due schieramenti del cortile di casa nostra e qualcuno si illuderà addirittura di poterli mettere in discussione. I due partiti in «crisi» che puntano su Donald il rosso per la riscossa sono la Lega di Salvini e i 5stelle di Conte. I due leader, anche se su versanti opposti, hanno posizioni simmetriche (basta pensare all'Ucraina) a quelle di Trump. Le ragioni discendono anche dalla politica interna. Al leader grillino va stretto, al di là delle batoste elettorali, il campo largo della Schlein: Conte ha nostalgia degli anni di The Donald in cui era l'ago della bilancia della politica italiana, al punto da guidare un governo gialloverde e un altro giallorosso. Il ritorno di Trump per il leader 5stelle potrebbe mettere in discussione l'attuale geografia, far risorgere l'opzione dello schema populista-sovranista, o per adottarla, o per aver una maggiore forza contrattuale nell'alleanza con il Pd: è l'obiettivo che è alla base delle fumose congetture del principale consigliere di Conte, del travaglio del direttore del Fatto, che vorrebbe congelare il campo largo per due anni per verificare se nel frattempo può maturare altro; oppure, dei segnali che Conte - vedi sulla Rai, vedi nell'incontro di cui si parla con Marina Berlusconi - lancia a destra o sul versante moderato. Insomma, con Trump alla Casa Bianca il leader grillino avrebbe una boccata d'ossigeno; con la Harris sarebbe archiviato e dovrebbe accontentarsi della sopravvivenza.
Un discorso speculare si può fare per Salvini: The Donald potrebbe dare un senso alla sua parabola a destra, se invece resteranno i democratici alla Casa Bianca il leader leghista dovrà sopportare come in questi due anni il ruolo di gregario. Sono meno coinvolti dal duello americano gli altri due leader del governo: la Meloni ha continuato coltivare Biden, ma attraverso Elon Musk ha ripreso a dialogare con l'universo trumpiano; Tajani resta sotto l'ala protettiva del Ppe. Facendo due conti, però, si arguisce che l'elezione di Kamala Harris in continuità con Biden, premierebbe la stabilità dell'attuale quadro politico che ha goduto finora per diverse ragioni - a cominciare dalla politica estera della Meloni - dei favori di Washington.
Nel confuso arcipelago del campo largo naturalmente si tifa per la Harris ma con uno schieramento che ha il suo asse spostato a sinistra, nessuno lì dentro ha le relazioni che avevano con l'amministrazione americana chessò Romano Prodi o Enrico Letta.
L'unico che può contare su un legame stretto con i democratici, via Obama, è Matteo Renzi. Già, paradosso dei paradossi, con la Harris l'unico che potrebbe suonare al campanello della Casa Bianca è proprio il reietto del campo largo.
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