A parole, tutti hanno scoperto le isole turisticamente meno celebrate del mare italiano: ma, in pratica, le cose stanno diversamente. Isole come Ustica, aspro paradiso di roccia, faraglioni, caverne, mare profondo e azzurrissimo, restano, per la stragrande maggioranza degli italiani, una meta non raggiunta. Ustica è lontana dall'Italia settentrionale, che dà al turismo, indubitabilmente, il maggior gettito; Ustica ha avuto, fino a quattro anni e mezzo or sono, la presenza sgradevole dei confinati. Queste circostanze le hanno per decenni impedito di aspirare a uno sviluppo mondano e alberghiero adeguato alle sue bellezze. Del che ci si può per un canto dolere, e per un altro rallegrare.
La medaglia della realtà ha spessissimo due facce. E il caso di Ustica non fa eccezione alla regola. Se Ustica si fosse trovata al largo della costa ligure e non avesse ospitato i «coatti», oggi ce la ritroveremmo ridotta a un grazioso ma anche lezioso soggiorno balneare, con una natura tutta addomesticata, sfruttata, reclamizzata, razionalizzata, probabilmente anche con grandi caseggiati di cemento armato, con alberghi di lusso molto «esclusivi», con una popolazione smaliziata, abile e avida, e non mancherebbero sicuramente night club costosi e sofisticati.
Ma Ustica è all'estremo sud, gravita su Palermo che è una grande città, ma non una città ricca, si trova a notevole distanza dalla costa, per lunghi decenni è stata conosciuta come residenza di individui loschi (o colpiti dalle misure politiche del fascismo) più che come soggiorno balneare. Per questo ce la ritroviamo, adesso, abbondantemente rustica, quasi intatta, molto nature, per qualche aspetto anche troppo poco attrezzata, ma in fin dei conti tutta da rivelare a chi vi si avventuri per la prima volta. I somarelli passano frequenti non per vezzo pittoresco, ma perché costituiscono ancora uno dei mezzi di trasporto fondamentali dell'isola. Le donne, soprattutto se anziane, sono schive e vestite di nero come pressoché dovunque nel meridione. Le strade abbisognerebbero di maggiori cure. Il porticciuolo va benissimo in giorni di bonaccia, ma diventa insufficiente quando il mare si mette al brutto. Spira dovunque un'aria bonaria e casalinga, che a qualcuno può piacere e a qualcuno no, ma che tra qualche anno, scommetterei, si sarà completamente dissolta. E allora, la rimpiangeremo certamente.
Quando a Ustica spesseggeranno i night club, i juke boxes, e magari i «complessi» di capelloni dalla fluente chioma svolazzante in frenetici ritmi, i «veterani» del turismo isolano abbandoneranno disgustati quest'ultimo romitaggio ormai contaminato. Ustica è dunque piuttosto primitiva, come organizzazione del divertimento, ma appunto per questo è genuina, fin che dura. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, insegnavano i nostri vecchi. Eppure Ustica si appresta a conoscere certamente il periodo più sereno e prospero della sua storia millenaria. Perché di vicende ne ha vissute molte, questo fazzoletto di terra lungo meno di cinque km, largo mento di tre, che 35 miglia di profondo mare blu dividono da Palermo: e quel mare che nei suoi momenti di buon umore è accogliente e invitante diventa, nelle tempeste dei momenti d'ira, uno sbarramento pauroso. Allora i venti soffiano fortissimi, l'isola si copre di una strana brina, densa quasi come pioggia, e la gente se ne sta rintanata in casa. L'isola pare deserta e impaurita, come quando, in tempi recenti, dalla «guardia dei turchi» la vedetta annunciava l'approssimarsi dei pirati saraceni, che facevano razzia di roba e di schiavi.
Storia lunga, storia dolorosa di colonizzazioni fallite, di oppressioni forestiere, di governatori incapaci o ladri, di intrusioni di predoni. Non appena ci fu un po' di pace la popolazione aumentò, era salita fino a poco meno di quattromila abitanti un centinaio di anni or sono, ora si è ridotta a meno di 1.500 anime: e su questo migliaio e mezzo di persone sono 400 gli iscritti all'elenco dei poveri. È una povertà dignitosa e perfino fiera quella di Ustica, il villeggiante non è qui sottoposto al rude assalto di postulanti che lo assilla in località ben altrimenti favorite dalla storia, dalla sorte e dallo sviluppo sociale. Ma è una povertà presente e pesante, che solo un intenso incremento del turismo potrà alleviare.
Nella gara turistica Ustica è partita dunque in ritardo. Ha gravato a lungo sull'isoletta la cappa del «confino» di polizia. Ormai gli ultimi coatti se ne sono andati da anni, la sera non risuona più la tromba che li richiamava nei loro dormitori o nelle case private - per chi poteva permetterselo. Non si nota più un gran numero di poliziotti e carabinieri. C'è qualcuno che rimpiange i tempi del confino, a Ustica, bisogna dirlo. Perché i confinati qualcosa spendevano, dovevano essere alloggiati e nutriti, mettevano insomma in moto un ingranaggio economico di tipo deteriore, ma sicuro. Non occorreva, per assicurare all'isola quei proventi, fare propaganda, trovare una clientela. Provvedeva a tutto lo Stato. E c'era chi su quel traffico campava bene. Ma i nostalgici del confino non tengono sufficiente conto del mutare dei tempi: i confinati per bene, come erano stati i «politici» (tra i grossi nomi, Gramsci, i fratelli Rosselli, Parri, Romita, il generale Bencivenga) erano stati sostituiti, negli ultimi anni di Ustica quasi-prigione, da mafiosi facili al coltello e alla rissa. È stata una benedizione per l'isola l'essersi liberata da questa infida genia di ospiti.
Anche una quindicina di anni or sono, quando ancora ogni battello che giungeva a Ustica o ne ripartiva aveva un piccolo carico di uomini sorvegliati dai carabinieri, l'isola aveva una sua clientela turistica, così modesta e di gusti così semplici da dare alla sua scelta un carattere pionieristico. In tutta l'isola esistevano qualche modesto alberghetto e una sola villetta, costruita da un romano. Da una cronaca giornalistica che non è poi remota (risale al 1952) traggo queste notazioni che mi paiono abbastanza interessanti per chi voglia misurare il cammino che l'isola ha dovuto e ancora dovrà compiere verso un'efficienza turistica che preservi le sue doti, ma attiri anche il cliente esigente. «La piazzetta angusta non ha ombra di civetteria. Non un sedile, non un albero. Su un muraglione stanno sedute parecchie persone, isolani, qualche villeggiante, e perfino vecchi e giovani galeotti... Malgrado la produzione locale di vino, Ustica, unico paese in Italia, non ha nemmeno l'ombra di un'osteria, e l'unico negozio di generi alimentari non vende alcoolici... Gli isolani catturano magnifiche aragoste, merluzzi, saraghi, che potrebbero essere trasportati nel continente se l'isola avesse una qualche attrezzatura. Ma, incredibile a dirsi, non esiste un solo frigorifero e spesse volte, per mancanza di acquirenti, il pesce, ormai putrido, viene rigettato a mare». È una cronaca del dopoguerra e pare antichissima. E ci dice che, in secoli di storia, l'isola aveva fatto passi assai stentati sulla via del progresso. Ora deve galoppare.
Le bellezze naturali abbondano. Pur nella sua angustia l'isola offre una straordinaria varietà di prospettive. La cala Santa Maria, alla quale si attracca, è sovrastata dal paese, che sta su un fianco spoglio dell'isola. E qui si ha un esempio di bellezza mediterranea desolata, scabra, in qualche modo diabolica, una bellezza che sa di vulcano e di zolfi sotterranei, di lava, di eruzioni, di dramma, che è presente in tante altre isole (e tra le tante mi piace ricordare, fuori dall'Italia, la greca Hydra). Su questo colore grigio scuro, che continua nel fondale marino, la lucentezza dell'acqua risalta con straordinari effetti. Ustica è bella dovunque perché bella la fa, sempre, l'abbraccio del mare. E si capisce facilmente che, con queste coste rocciose, queste caverne, queste acque limpide, l'isola sia diventata uno dei paradisi dei pescatori subacquei.
Ma se dalla cala e dall'abitato ci si inoltra verso l'interno, si scopre una zona collinosa fittamente coltivata, fruttifera, verdeggiante (in una passeggiata tra queste piccole proprietà ho visto su un muro una lapide che celebrava una visita di Vittorio Emanuele III, se ben ricordo, ai primi del secolo, dopo non so bene quale calamità). In piena estate questa zona dell'isola ha l'inebriante festosità della natura siciliana, le cicale, le lucertole, il profumo dei fichi d'India, quella mollezza dolce che penetra nel cuore e nell'animo come uno stupefacente. E se la costa è, nei pressi della cala Santa Maria, e in particolare all'altezza della celebrata e stupenda Grotta Azzurra, scoscesa e tormentata, verso lo Spalmatore (plaga incorrotta e magnifica, della quale è in corso la valorizzazione) digrada più dolcemente.
È passato il tempo in cui non esisteva una sola osteria, e non si spacciavano alcoolici, ovviamente: adesso Ustica ha i suoi bar, a Ustica si balla, anche. Non c'è invece un cinematografo (gestirlo non è redditizio, mi è stato spiegato), manca una filiale bancaria, non si riesce a trovare un titolare per la farmacia, il porto è troppo nature, la zona dello Spalmatore è priva tuttora di luce elettrica. Ho affastellato queste notazioni per dire come a certe lacune si potrebbe ovviare senza guastare la caratteristica rusticità di una villeggiatura che rustica deve rimanere.
Ustica ha tre problemi fondamentali: le comunicazioni, le attrezzature alberghiere, l'«allungamento» della stagione. In piena estate si va da Palermo a Ustica «volando» con l'aliscafo, in un'ora e 10 minuti, e le corse sono sufficientemente frequenti (il battello è assai più lento naturalmente). Però il problema non riguarda, è evidente, solo questa parte del tragitto, che è l'ultima. Essa è importantissima per i palermitani. Ma per chi venga da altre regioni italiane o da altri Paesi d'Europa è altrettanto importante che siano assicurate coincidenze tra le partenze per Ustica e gli orari aerei e ferroviari. Avviene invece questo (ed è un punto vitale): che Ustica è considerata, dalle autorità palermitane e anche dai responsabili del turismo, quasi esclusivamente in funzione del traffico locale. Errore gravissimo. Guai se Capri o Ischia avessero limitato le loro ambizioni alla zona napoletana. Ustica deve guardare lontano, per esempio alla organizzazione di «ponti aerei» con apparecchi chartered, noleggiati. E già i primi esperimenti di ponti aerei tra Milano e Palermo (con proseguimento per Ustica in battello) sono stati fatti, con ottimo successo, nell'estate scorsa.
La clientela palermitana è preziosa per Ustica: ma è la clientela meno redditizia, «pro capita», e si affolla tutta nel periodo culminante dell'estate. I villeggianti siciliani hanno in generale mezzi modesti, sono di miti pretese e pagano poco, gremiscono pensioni e camere mobiliate da metà luglio a fine agosto, si riversano in masse chiassose sull'isola nei giorni di festa. E in quelle stesse giornate, essendo l'isola provvista di strade e di automobili, ed essendo queste poche automobili dotate di potenti clacson, la pace del luogo è fortemente turbata. La marea delle festività angustia fortemente (ma non c'è rimedio, anche se si può esigere che nessuno abusi dei segnali acustici) il turismo d'élite.
Il turismo scelto ha l'enorme pregio di non essere limitato a una breve fetta dell'estate, ma di poter abbracciare un arco di tempo che va comodamente da maggio a settembre. A Ustica si possono davvero fare dei bagni eccellenti in maggio, si può godere, allora, di una natura che ha tutta la freschezza della primavera e tutto il rigoglio dell'estate. Finora quest'isola piena di fascino è stata scoperta, fra gli italiani non di Sicilia, soprattutto dai milanesi: e tra gli stranieri dai francesi e dagli svizzeri, alcuni dei quali vengono qui, regolarmente, da molti anni. E si pensi al viaggio che questa gente deve affrontare per raggiungere la sua meta. Gente che spende somme così importanti potrebbe anche utilizzare, per il tratto dall'aeroporto di Palermo a Ustica, l'elicottero. L'esperimento delle isole del golfo di Napoli può insegnare, in proposito, molte cose.
Anche i villeggianti «di lusso» si danno, a Ustica, alla vita tipo Robinson Crosuè, è frequente il vezzo di lasciare la barba lunga: e sotto la volta della meravigliosa Grotta Azzurra si odono richiami in svariate lingue. Ma pochi, ancora, in tedesco e in scandinavo. Queste due correnti turistiche non hanno scoperto adeguatamente Ustica: e quando la scopriranno, non temete, si precipiteranno a valanga. L'attuale pigrizia tedesca e scandinava sta a indicare una sola cosa: la deficienza di una propaganda all'estero alla quale, nonostante i molti fondi di cui dispone, la Regione siciliana non dedica (almeno a Ustica) adeguata attenzione.
L'afflusso, sperato, di forestieri in gran numero, porrà in luce un altro aspetto della questione turistica: gli alberghi, e l'ospitalità in generale. L'attrezzatura migliora. Ustica ha anche un albergo di ottimo tono, con piscina, che si trova proprio a picco sulla grotta Azzurra, e che, in piena stagione, fa pensione completa per cinquemila lire al giorno all'incirca. E ha anche altri discreti alberghi, e pensioni decorose, e camere mobiliate quasi in ogni casa. Una volta che ero capitato a Ustica in periodo di ressa mi alloggiarono alla meglio in una stanza umile ma pulita: e la gente si era dimostrata cortesissima.
Però, anche questo va detto, troppi albergatori sono improvvisati, sono ex-agricoltori, o ex-fornitori dei confinati, o ex-impiegati, o ex-pescatori. Non hanno esperienza. Hanno tendenza a sfruttare fino all'osso i momenti buoni, magari relegando i clienti in sistemazioni insoddisfacenti, senza riflettere che se uno se ne va via scontento non torna più: e manifestano una sorta di fatalismo sconsolato sulla possibilità di allungare la stagione, di dare alt turismo di Ustica un diverso andamento e altre dimensioni. Sono operatori turistici che, in sostanza, non hanno finora imparato ad avere fiducia nel turismo, che non fanno viaggi di aggiornamento, che non credono nelle esperienze e negli insegnamenti altrui. Eppure quelle esperienze sono di utilità immensa per i neofiti. La mentalità «locale» di chi si interessa del turismo ha la sua dimostrazione anche in fatterelli spiccioli. Nell'agosto scorso, al colmo della stagione, per rallegrare i villeggianti era stata organizzata in piazza con una compagnia di dilettanti siciliani una recita dialettale della commedia «L'aria del continente», resa famosa dal povero Angelo Musco. Gradevole la commedia, ma incomprensibile, con quella recitazione stretta, per chi non fosse di Ustica, o siciliano. Per gli ospiti di altre regioni o stranieri, bisognava pensare, se proprio si voleva offrire qualcosa di inusitato in un'isola così avara di divertimenti mondani, ad alcunché di diverso.
Pure con tutte le pecche e le difficoltà che ho accennato, Ustica progredisce e progredirà, perché è, con le sue rocce frastagliate, le sue caverne favolose, i suoi faraglioni cupi, i suoi orti profumati, uno dei più genuini angoli di terra che l'uomo, nella sua ricerca del riposo e della bellezza, possa tuttora trovare. Il turismo è la sola risorsa su cui Ustica possa contare (e si assiste qui al paradosso, inspiegabile, della frutta portata dalla Sicilia, mentre potrebbe essere prodotta, mi pare, sul posto). Nell'agricoltura nessuno crede più. I giovani aspirano a emigrare, e i vecchi rimpiangono il passato: come è normale in chi è sul declino della vita. A chi è giovane e a chi non lo è più il fiorire del turismo dovrà dare la convinzione che per Ustica si apre un'era nuova. Ma la gente di Ustica non può credere che tutto, dal punto di vista materiale e da quello organizzativo, debba venire da fuori, da lontano. Molte cose sono state rivoluzionate, in altri luoghi, molte abitudini mutate. Anche Ustica deve abituarsi a questa idea. Potrà succedere che in un prossimo avvenire l'isola debba magari avere, per la clientela tedesca (si fa per dire) anche una birreria di tipo bavarese. Non sarebbe un bel vedere: ma se sarà necessario, il paese che non aveva osterie potrà pur tollerare una birreria ad uso del turista teutonico.
Mario Cervi
«Vie d'Italia», giugno 1966
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