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"Vi dico tutta la verità sui vaccini ai ragazzi"

L'Ema sta per dare l'ok alla vaccinazione nella fascia adolescenziale, ma ancora sugli effetti in questa fascia d'età si sa poco. Per fare chiarezza, ne abbiamo parlato con il professor Paolo Palma Responsabile Unità Operativa Complessa immunologia clinica e vaccinologia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma

"Vi dico tutta la verità sui vaccini ai ragazzi"

Dopo l’esempio americano dettato dalla direttiva Fauci di estendere i vaccini agli adolescenti, l’Ema sta valutando alcuni studi clinici che porterebbero anche nel nostro Paese la vaccinazione al di sotto dei 16 anni. La risposta definitiva, secondo quanto detto dal ministro della Salute Roberto Speranza, arriverà il 28 maggio e da quel momento in poi si inizierà o meno, un percorso che porterà la copertura vaccinale dai 12 anni in poi. Nonostante se ne parli molto è però ancora poco chiara la modalità che verrà scelta per questa fascia di popolazione o che tipo di vaccino sarà consigliato. Tutte domande che ovviamente sono molto importanti per chi ha figli in età adolescenziale, ma non solo. Quali sono i benefici di questa decisione e come impatterà sull'intera popolazione? Per rispondere a queste e molte altre domande e chiarire meglio quello che accadrà, abbiamo chiesto ad un’esperto, il professor Paolo Palma responsabile dell'Unità Operativa Complessa Immunologia clinica e Vaccinologia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma.

Professore abbiamo capito l’importanza dei vaccini negli adulti. Ora si parla, e tra poco sapremo se sarà possibile farli, di quelli per i ragazzi dai 12 ai 16 anni. Perché ci si è posti questo problema?

“La domanda è molto importante. In un’ottica di vaccinazione di massa che è quella che stiamo vivendo, l’idea di lasciare un gruppo di popolazione che non ha nessuna copertura, secondo alcuni epidemiologi e infettivologi, potrebbe rappresentare una problematica per il subentrare delle varianti che stanno aumentando. Quindi si lascerebbe un serbatoio di virus in una popolazione che tra l’altro è molto attiva dal punto di vista degli spostamenti, e per la possibilità di infezioni intrafamiliari. L’esempio è un po’ quello americano del collega Fauci che ha spiegato come anche loro stanno andando nella stessa direzione, vaccinando i teen agers. Oltretutto dobbiamo pensare che i vaccini che stiamo facendo ora, garantiscono sì la ridotta mortalità, ma non la sterilizzazione. Ovvero la possibilità che in caso ci si infetti non si trasmetta il virus”.

All’inizio della pandemia non si era però detto che la popolazione giovane era quella naturalmente più protetta?

“Questo è un concetto che rimane, anche se l’argomento è controverso e ci sono degli aspetti a favore del sì ma anche potenzialmente del no. Mi spiego meglio i soggetti giovani, tendono ad infettarsi ugualemnte agli adulti ma sviluppano pochi sintomi, nella maggior parte dei casi. In questo momento pensando ad un’ottica evolutiva del virus e ad una situazione dinamica come abbiamo imparato a riconoscere nel tempo, sembra più sensato vaccinare i giovani. Anche in funzione dell’idea che il vaccino in base ai dati che abbiamo, garantisce al momento una copertura verso le varianti che la protezione a disposizione per natura dei giovani, non garantisce. Tutti questi elementi ci fanno quindi dire che è sensato vaccinare gli adolescenti, soprattutto se ci troviamo di fronte a soggetti fragili. In quel caso dovrebbe essere assolutamente necessaria”.

Il problema per i giovani, e da qui la necessità di copertura, nasce quindi dalle varianti del Sars-CoV- 2?

"Chi conosce l’immunoinfettivologia e io personalmente l’ho appresa negli anni con l’Hiv che è la nave scuola delle varianti, sa come il virus cambi nel tempo e di come alcune evoluzioni determinino a volte resistenza alle terapie, piuttosto che una virulenza maggiore o minore. Oppure come le terapie stesse possano indurre varianti, così come il sistema immunitario dell’individuo. Le varianti quindi Fanno parte fisiologia dell’interazione patogeno/essere umano. Il problema grosso è che trattandosi di un virus nuovo, questo determina scenari diversi. In immunologia esiste un concetto abbastanza antico che è noto come “Antigenic Sin” (il peccato antigenico ndr) che identifica una condizione per cui quando un bambino incontra per la prima volta un virus, risponde a questo in maniera più importante di un adulto o un ragazzo. Questa risposta in qualche maniera se la porta dietro nel tempo e diventa selettiva nei confronti di quel virus in poche parole lo riconosce. Gli anziani hanno avuto un’esposizione a tanti virus nel corso della vita, e anche loro hanno la capacità di riconoscere il “cugino” di questo Sars-CoV-2, anche se verso questo hanno una risposta immunitaria più blanda rispetto ad un bambino, e molto più infiammatoria e pericolosa. Rimangono quindi i ragazzi di fascia media che sono quelli che più di tutti teoricamente, sono esposti e non in grado di riconoscere queste varianti o comunque farlo con più difficoltà. Da qui l’idea che vaccinare questa fascia con un vaccino che induca una protezione dimostrata verso le varianti, sia importante”.

Cosa intende con la risposta immunitaria degli anziani ai “cugini” del Covid?

“I coronavirus sono virus presenti in natura. Ho usato la parola “cugino” perché presentano delle caratteristiche, come la proteina Spike o l’antigine nucleare, che che sono in qualche maniera simili a quelli del Sars-CoVi-2 anche se ovviamente non è lo stesso virus. Per intenderci è come nell’influenza dove ci sono i ceppi che cambiano ogni anno per un fenomeno chiamato “Antigenic drift” (Si tratta di una graduale modifica della sequenza degli aminoacidi che compongono le proteine in grado di stimolare una risposta immune. Questo fenomeno riguarda sia i virus A, sia i B ed è responsabile delle epidemie stagionali ndr). Però il Covid essendo nuovo necessita comunque di un processo di risposta denovo del nostro organismo, che però fortunatamente proprio per le caratteristiche di familiarità di cui parlavo sopra in qualche maniera è facilitato. È come se io ho una chiave a croce e una porta con una serratura a croce: anche se la chiave non è quella giusta io con un po’ di sforzo la porta riesco ad aprirla. Al contrario se ho una chiava tonda non entrerò mai. Questo è quello che noi abbiamo imparato a conoscere nel Covid. Nel corso degli anni accumuliamo un patrimonio cellulare che ci permette di riconoscere virus nuovi. È un meccanismo molto interessante dovuto all’evoluzione del nostro TCR (il ricettore che permette il riconoscimento dei linfociti T che sono quelli che attivano la risposta immunitaria per neutralizzare i virus ndr). Questo significa che in natura esistono delle persone che anche davanti ad un virus potenzialmente mortale per tutti, saranno in grado di contrastarlo anche se fino ad quel momento non lo hanno mai incontrato. Chiaramente questo processo tra virus uomo è molto complicato e lungo, e talvolta richiede un’alta mortalità che non è certo quello a cui noi aspiriamo, ma è quello che succede in natura. Da qui l’importanza del vaccino che è il processo che velocizza e altera quello che avviene in natura, evitando quindi l’elevata mortalità”.

Nei foglietti illustrativi dei vaccini anti Covid il cosiddetto bugiardino, era però sconsigliata la vaccinazione sotto i 16 anni. Che cosa è cambiato?

“Il termine 'sconsigliare' porta a pensare ad una eccezione negativa, come se facendolo sotto i 16 anni può succedere qualcosa di male. In realtà il punto è che al momento dell’uscita dei vaccini, non si dava l’autorizzazione a farlo sotto i 16 anni perché non esistevano dei dati di sicurezza e immunogenicità per quella fascia d’età. Dati che nel frattempo sono stati prodotti e inviati all’Ema che si pronuncerà a fine maggio su questo. Questi sono molto solidi e dimostrano che il vaccino in quella faccia d’età (che va dai 12 ai 15 anni, ndr) è sicuro. Per quanto riguarda la fascia d’età inferiore, quella che va dai 2 agli 11 anni, ci sono attualmente degli studi in corso, che verranno presentati a breve”.

Quali sono i vaccini di cui è stata fatta la sperimentazione in età adolescenziale?

“Quasi tutti li hanno fatti o li stanno concludendo. Sia Johnson & Johnson che Moderna che Pfizer. Questi ultimi due le hanno già concluse, con un arruolamento di 2200 ragazzi e i dati, come dicevo, sono stati consegnati all’Ema”.

La sperimentazione è stata fatta su ragazzi sani o con patologie?

“Questo tipo di sperimentazione viene sempre fatta sulla popolazione sana. Anche se personalmente penso che la ricerca necessiti di una via preferenziale per i pazienti vulnerabili e per le categorie a rischio”.

Esistono vaccini di cui lei è a conoscenza, che siano specifici per la popolazione giovane? Se sì, da cosa si differenziano da quelli per gli adulti?

“No. Attualmente il vaccino Pfizer che viene utilizzato in questa fascia di età, è uguale in tutto e per tutto a quello utilizzato per gli adulti. La stessa cosa per Moderna. Con questa domanda tocca un tasto a me molto caro. Faccio parte di un gruppo internazionale che si chiama “Precise Vaccine Program” e insieme ai colleghi di Harvard e ad altri americani e australiani, stiamo lavorando proprio su questo, per far in modo che il vaccino sia differenziato a secondo dell’età, del sesso e delle patologie a rischio. Quindi non usando per tutti lo stesso, per evitare l’insorgenza di eventi avversi e in questo modo poter scegliere volta per volta il vaccino più giusto per il paziente. Questo è un argomento importante, perché questa scelta non deve farla la popolazione in base alle informazioni che ascolta al bar o le vengono riferite dal vicino di casa come avviene adesso. La scelta di un vaccino è un po’ come quella di un antibiotico che non va bene per tutti ed è il medico che deve darla. Per questo io ho insistito e la struttura del Bambino Gesù mi ha seguito in questa scelta, per creare l’unità di “Immunologia Clinica e Vaccinologia”. Quest’ultima è oggigiorno una vera e propria scienza, perché così come per i medicinali abbiamo tanti vaccini a disposizione, e dobbiamo fare una scelta in base alle esigenze del paziente. Purtroppo questo è un argomento delicato che si porta dietro il fatto che i vaccini vengono scelti su altre basi, e questo fa sì che vengano acquistati e in qualche modo alla fine si è costretti a fare tutti lo stesso. È qualcosa che nel tempo dovrà essere modificato, per permettere una personalizzazione vaccinale secondo le esigenze personali”.

A questo proposito tempo fa c’è stata una campagna informativa che parlava proprio del fatto di non somministrare ai bambini e ai ragazzi medicinali per adulti, anche se in dosi ridotte. Ipotizzando una vaccinazione per gli adolescenti nel nostro Paese, a questi inietteremo lo stesso vaccino con la stessa dose che diamo alla fascia anziana, dove la risposta immunitaria è ben diversa?

“Questo è il punto, ed è per questo che da anni sto collaborando con il centro di cui ho accennato prima, perché è assurdo dare lo stesso vaccino a diverse fasce d’età, con lo stesso dosaggio. Come per gli antibiotici dovremo arrivare ad adattare i dosaggi, usando un vaccino ‘adiuvato’ a secondo delle situazioni. Per questo stiamo lavorando all’idea di sviluppare adiuvanti specifici per ogni condizione”.

Che cosa è un adiuvante?

“Una molecola che si associa al vaccino e che potenzia la risposta immunitaria. Ora per i vaccini c’è la possibilità di disegnarli e di modificarli a secondo di quelle che sono le problematiche del soggetto. L’idea è quella di provare delle vaccinazioni in vitro che simulano la vaccinazione che avverrà sul paziente. In pratica facendo un prelievo di sangue al paziente, provo il vaccino in vitro e vedo che risposta avrà prima di inocularlo”.

Un vaccino ad personam?

“Quello è il futuro, ma almeno che per il presente che si abbia per un gruppo, come potrebbe essere appunto la fascia d’età adolescenziale. Ora invece abbiamo un vaccinato con la stessa dose tutti: dall’immunodepresso all’operatore sanitario. Sono il responsabile di uno studio sulla vaccinazione Covid sopra i 16 anni di pazienti vulnerabili, e quello che posso dire è che la risposta di questi, non è uguale rispetto all’intera popolazione. Il tema è molto complesso ma dobbiamo andare verso quella direzione, con l’ambizione di una personalizzazione del vaccino”.

La vaccinazione voluta da Fauci in America è iniziata da poco, noi in Italia stiamo ancora indietro e dobbiamo coprire ancora la fascia adulta. Cosa ne pensa?

“Questo è un altro punto. Nel senso che se noi riuscissimo a vaccinare tutte le fasce d’età, diciamo dai 30 ai 90 anni renderemo la malattia non più mortale. Come ho già detto ci sono delle evidenze anche se i dati non sono stati ancora pubblicati, che suggeriscono che i giovani sono più esposti alle varianti”.

Secondo lei quando si potrà iniziare la vaccinazione per gli adolescenti? Si dice addirittura che inizierà prima dell’estate se l’Ema darà l’ok. È così?

“Per me realisticamente a settembre, perché bisogna capire come andranno le coperture vaccinali del resto della popolazione. Bisogna mantenere un criterio progressivo per età e patologie anche per gli adolescenti, iniziando dai pazienti più fragili. Nel frattempo bisogna però essere sicuri che tutta la fascia di popolazione adulta abbiano avuto la loro dose di vaccino, perché aprire agli adolescenti senza aver concluso la vaccinazione agli adulti, a mio parere è un errore”.

Cosa ne pensa della seconda dose di Pfizer a 40 giorni?

“È stata una scelta fatta su un criterio di fattibilità. Chiaramente in questo caso c’è un po’ una lotta tra la casa farmaceutica che ha prodotto i dati a 21 giorni e li ha licenziati con questo parametro, e altri tipi di necessità ovvero quelli di vaccinare più gente possibile. Bisogna cercare una quadra tra le esigenze della popolazione e il numero di dosi che si hanno. Dal punto di vista pratico penso comunque che dilazionare di una decina di giorni in più, non sia il problema”.

Com’è al momento la situazione Covid nelle strutture Bambino Gesù che sono quelle più ricettive per questa fascia d’età?

“Due mesi fa abbiamo osservato un nuovo aumento dei casi, ora però per fortuna stiamo vedendo obiettivamene una riduzione”.

Di che età parliamo?

“Qualsiasi fascia d’età.

Abbiamo avuto ultimamente tre pazienti nei primi mesi di vita sintomatici che hanno avuto febbre e necessità di trattamenti, probabilmente espressione di infezione dovute alle varianti. Fortunatamente al momento nel nostro centro Covid abbiamo posti liberi, quando fino a poco tempo fa avevamo anche pazienti in attesa al Pronto Soccorso. Quindi c’è un miglioramento in termine di numeri”.

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