Quando fare la terza dose? Tutte le incognite sugli anticorpi

Il richiamo del vaccino andrà fatto un anno dopo dalla prima dose e le cellule di lunga memoria potrebbero "ricordarsi" del Covid anche con pochi anticorpi: ecco cosa ci hanno detto due esperti

Quando fare la terza dose? Tutte le incognite sugli anticorpi

La vaccinazione procede finalmente a ritmo spedito ma più di una cosa, ancora adesso, non è chiara: quanto durano gli anticorpi prodotti dal vaccino? E quelli dell'infezione naturale? E poi: quando sarà necessario fare il richiamo (o terza dose)? Tutte domande legittime che, per adesso, sono in parte senza risposta.

Terza dose dopo un anno dalla prima

Qualcosa che molti non sanno, o forse non è chiara, è che la terza dose andrà fatta dopo circa un anno dalla prima e non dalla seconda: è un aspetto importantissimo soprattutto per chi, vaccinato con AstraZeneca (il cui richiamo avviene dopo tre mesi) credeva che accadesse l'esatto opposto. "La dose di richiamo avviene a distanza di un anno dalla prima dose: chi l'ha fatta all'inizio, ad esempio il 27 dicembre, è molto probabile che faccia la terza dose intorno a quella data. È un po' come per la vaccinazione antinfluenzale, si indica un periodo che è quello tra ottobre e dicembre, l'importante è presentarsi per una nuova dose quando gli anticorpi diminuiranno": lo ha affermato al giornale.it Matteo Bassetti, Direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, che ci ha spiegato la differenza tra la prima vaccinazione e la seconda. "La prima dose serve a produrre gli anticorpi, la seconda dose che definiamo 'booster', rende durevole l'immunità. Con una sola dose, probabilmente, l'immunità potrebbe diminuire mentre grazie alla seconda dose la manteniamo alta nel tempo".

Quanto durano gli anticorpi?

Un altro aspetto per certi versi ignoto e che scopriremo con il tempo è la tenuta anticorpale del nostro organismo: quanto dura? Sei mesi, nove, mesi, un anno o di più? Recentemente ci siamo occupati di quanto si conosce finora (qui il nostro pezzo) ma questa volta lo abbiamo chiesto direttamente agli esperti. "I vaccini sono stati tarati a livello di laboratorio per arrivare ad avere la durata di un anno, è ragionevole pensare che almeno un anno di copertura la dovrebbero dare - ci dice Bassetti - Già sappiamo che l'immunità naturale che si sviluppa dopo l'infezione può durare in un range che varia tra i 6 e i 12 mesi ma ci sono tante persone che si sono infettate con il Covid nel marzo 2020 che hanno ancora moltissimi anticorpi. È molto individuale, varia da un soggetto ad un altro, ma ragionevolmente la durata sarà di almeno un anno". Come ci spiega l'infettivologo, le cose da scoprire sono ancora numerose in questo 2021 perché quelli che hanno partecipato alla sperimentazione clinica nell'ottobre del 2020 e permesso l'approvazione dei vaccini di Pfizer e Moderna, saranno seguiti nel tempo per valutare la loro risposta anticorpale a distanza di un anno dal vaccino, se hanno o meno anticorpi e sapere quando dovremo fare la terza dose. "Per il momento non è il caso di preoccuparsi o pensare di prenotarsi per la terza dose: verrà fuori dagli enti regolatori che riceveranno la documentazione completa dalla aziende che producono i farmaci i quali comunicheranno per quanto tempo durano gli anticorpi".

Anticorpi ed immunità, ecco come nasce la "memoria"

L'argomento, insomma, è in divenire: si tratta comunque di stime, non di certezze. E poi sarà importante fare un'ulteriore distinzione. "La premessa è questa: i tempi di osservazione sono corti, non sappiamo nel tempo quale sarà la durata protettiva del vaccino. E poi, la durata protettiva da cosa? " domanda retoricamente Giovanni Di Perri, Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Amedeo di Savoia e della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive dell’Università degli Studi di Torino, che abbiamo sentito in esclusiva per ilgiornale.it. "Protezione dal caso grave, dal caso lieve o dalla semplice infezione? Anche questo dobbiamo chiederci. Possiamo misurare la quantità degli anticorpi che è l'unico indicatore di immunizzazione che è facile misurare". Di Perri ci ha spiegato che la nostra risposta immune è articolata: inizia con l'immunità innata che processa qualsiasi antigene (virus o batterio) e, in un fase successiva, presenta l'antigene alle cellule che devono essere specificizzate contro quell'infezione. "Abbiamo delle cellule immunitarie che vengono chiamate 'naive', cioé che non hanno mai incontrato alcun antigene, sono vergini. Sono lì pronte a reagire ad un nuovo antigene: una volta che reagiscono, fanno diverse cose: alcune agiscono subito e determinano, con la cooperazione dei linfociti B e T, la produzione di anticorpi", spiega.

Perché siamo protetti anche con pochi anticorpi

A questo punto, alcune cellule entrano a far parte del nostro patrimonio di memoria ed il vaccino serve sia a dare un'immediata produzione di anticorpi ma anche a preparare e mettere da parte cellule capaci di produrli qualora dovessero incontrare nuovamente lo stesso antigene. "A quel punto, queste cellule sono pronte a secernere anticorpi - continua Di Perri - Ci sono anche cellule memoria, però, che non secernono anticorpi ma aggrediscono le cellule infettate. Come si vede, è una risposta che ha diversi 'bracci' e settori. Noi, però, siamo in grado di misurare soltanto la produzione di anticorpi". A livello di ricerca ed in laboratori più sofisticati si possono anche a testare le cellule e non gli anticorpi, non è qualcosa di routine: alla fine, quindi, esauriamo la nostra capacità di vedere se un soggetto è immunizzato quasi esclusivamente con la misurazione degli anticorpi. "Si potrebbe avere una bassa quantità di anticorpi semplicemente perché non si ha bisogno di averne tanti in quel momento ma se il sistema immunitario venisse sollecitato si avrebbe un'immediata produzione sia di anticorpi che la clonazione di cellule specifiche per quel virus e monterebbe una risposta verosimilmente efficace in breve tempo". La differenza riguarda anche la tipologia di infezione: se si viene contagiati da morbillo o polio, sia l'infezione naturale che il vaccino lasciano un'immunità protettiva permanente, per tutta la vita. Purtroppo, però, non tutte le infezioni lasciano un'immunità permanente "ma abbiamo evidenza che rimanga, in memoria, qualcosa. La nostra speranza è che la vaccinazione e l'infezione naturale lascino una memoria immunitaria difensiva che, se sottoposti di nuovo alla malattia, non si sviluppino più casi gravi. Lo vedremo nel tempo", aggiunge l'infettivologo.

Differenza tra immunità naturale e immunità da vaccino

Ma esiste una differenza tra gli anticorpi prodotti dall'infezione dopo aver contratto il Sars-Cov-2 rispetto a quelli prodotti dai vaccini? "Si, certo: il vaccino ci permette di produrre soltanto anticorpi contro la proteina di superficie, la famosa Spike, mentre l'infezione naturale li fa produrre non solo contro la proteina di superficie ma anche contro altre parti del virus. E non solo anticorpi, ma anche popolazione cellulare memoria che rimane", spiega Di Perri. Con l'infezione si producono anticorpi contro una serie di strutture virali e la strategia del vaccino, "che è intelligente e vincente", è di far produrre anticorpi contro quella proteina che si lega ai nostri recettori. Con questa difesa il virus non è in grado, o lo è minimamente, di infettare le cellule che avrebbe infettato molto più facilmente senza la difesa costruita dal vaccino. "Ovviamente è meglio non prendere l'infezione perché non sappiamo quali possono essere le conseguenze ma una volta presa e superata, l'immunità che ne deriva non è certamente inferiore a quella che ci dà il vaccino", conclude.

Il "problema di comunicazione" del vaccino

La trasparenza e le percentuali di copertura differenti tra Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson&Johnson hanno mandato in tilt l'intera comunicazione dei vaccini con la gente che, giustamente o no, si sente autorizzata a scegliere il siero che ritiene opportuno. Ma non dovrebbe funzionare proprio così. "Non è una partita di calcio né un argomento da popolo, qui purtroppo stiamo declinando la vaccinazione ed argomenti altamente scientifici come fossero argomenti da bar, ma non lo sono - ci dice Bassetti - La gente si fida dei medici, delle istituzioni sanitarie e degli enti regolatori e si è fidata per tante altre cose dalla cura dei tumori, agli antibiotici, alla cura delle malattie autoimmuni. Un paziente è mai andato a valutare lo studio clinico di una cura data per una determinata patologia, quali sono gli effetti collaterali oppure qual è la vera efficacia? Ci si è sempre fidati del medico che ha proposto quel determinato trattamento.

Perché, per i vaccini, invece, non ci dobbiamo fidare dello stesso medico che cura ipertensione, diabete o cancro? Cerchiamo di evitare di mettere fuori posto il normale ordine degli addendi che non devono mutare".

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