"Ovvio che abbiamo chiesto scusa, ci dispiace per il dolore che abbiamo causato. Ma non siamo responsabili del nostro rapimento". Circondata dal padre e dal fratello, Vanessa Marzullo improvvisa una conferenza stampa davanti a casa. Una chicchierata coi giornalisti che da giorni le fanno la posta a Verdello, paesino in provincia di Bergamo. Ripete più volte: "Vorrei ancora ringraziare tutti coloro che hanno lavorato per la nostra libertà, lo Stato, l’unità di crisi e tutte le persone che hanno pregato sperato e sempre pensato a noi". Niente di più. La verità su come è andata laggiù, in Siria, rimarrà secretata nei verbali degli inquirenti.
"Ci dispiace per il dolore che abbiamo causato". Vanessa non risponde a tutte le domande che, a raffica, i giornalisti le pongono. Si limita a dire quanto può e quanto vuole. Tutto il resto viene aggirato abilmente. "Eravamo là per aiutare la popolazione", dice. E assicura che, almeno per il momento, non intende tornare in Siria. Magari in futuro. Non si sa. Nel frattempo continuerà ad aiutare i siriani da qua. "Non dimentichiamo che c'è un massacro in corso", promette. Poi un pensiero va a Greta Ramelli, l'altra cooperante che ha condiviso con lei cinque lunghi mesi di prigionia in Siria. "È difficile ora stare lontana da Greta - racconta Vanessa - ieri sera ci siamo date la buonanotte, oggi devo ancora sentirla...". Dei cinque mesi di prigionia Vanessa racconta davvero poco: "Dal primo secondo all'ultimo giorno io e Greta eravamo mano nella mano e questo è stato di conforto".
E ancora: "Dormivamo su materassi, non su un letto vero, siamo state trattate bene, non abbiamo subito violenze". Non va oltre. Pochi minuti, e poi rientra in casa. Col padre e il fratello, per il pranzo della domenica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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