Il vanto degli scafisti che uccisero 300 migranti: "Noi siamo dei business man"

In manette tre scafisti. Oltre a portarli in Italia, favorivano la fuga di numerosi immigrati dai centri di accoglienza

Il vanto degli scafisti che uccisero 300 migranti: "Noi siamo dei business man"

"Noi siamo dei business man". Mentre organizzavano i viaggi della speranza di immigrati disperati che dalla Libia dovevano raggiungere in barca le coste siciliane, i trafficanti di uomini si vantavano al telefono. Peccato che, durante i viaggi nel canale di Sicilia organizzati da loro, sono morti almeno 300 stranieri.

In collaborazione con la capitaneria di porto, la polizia di Palermo e Agrigento ha arrestato tre extracomunitari. L'accusa è pesantissima: associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina aggravata dalla transnazionalità. Gli indagati sono accusati di essere dei mercanti di uomini e di aver organizzato una serie di "viaggi della speranza" a bordo di gommoni provenienti da porti libici che, a più riprese, hanno raggiunto le coste siciliane attraversando il Canale di Sicilia. I viaggi risalgono tutti a quest'anno, in piena emergenza immigrazione. I trafficanti, dietro al pagamento di 2.400 dollari a immigrato, garantivano il raggiungimento, attraverso la Sicilia, del Nord Europa. Tra gli arrestati anche l'organizzatore di uno dei viaggi tra la Libia e Lampedusa nel corso del quale è avvenuto il drammatico naufragio in alto mare che ha causato la morte di circa 300 immigrati, di cui soltanto 29 corpi sono stati recuperati. "I tre arrestati - spiegano gli inquirenti - sarebbero anche responsabili di avere favorito la fuga di numerosi migranti dai centri di accoglienza, garantendo supporto logistico per spostarsi mantenendo la clandestinità".

Nelle telefonate intercettate dagli investigatori, guidati dal capo della Squadra mobile di Palermo Rodolfo Ruperti, emerge come gli arrestati siano dei veri uomini "d'affari". Gli immigrati non potevano salire sui gommoni se prima non pagavano la somma pattuita.

In media ogni profugo era costretto a versare la somma di oltre duemila dollari per affrontare il viaggio dalla Libia all'Italia. "L'organizzazione criminale - spiegano i magistrati - aveva una base operativa in Sicilia, che si occupava del trasferimento dei profughi dall'isola al Nord Europa".

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