Vaticano, un vescovo africano si ribella: "No a documento con 'Lgbt'"

Un vescovo africano ha comunicato di non essere disposto a votare un documento che presenti l'espressione "Lgbt". Divampa la polemica in Vaticano

Vaticano, un vescovo africano si ribella: "No a documento con 'Lgbt'"

Il documento finale del Sinodo dei vescovi sui giovani dovrebbe contenere l'espressione 'Lgbt'. Il cardinale Tagle, molto vicino a Papa Francesco, lo ha confermato ieri, parlando con i giornalisti presenti in Vaticano: "Abbiamo ricevuto la bozza solo questa mattina - ha detto - , dobbiamo trascorrere l’intero pomeriggio e sera a leggerlo. La mia sensazione, tuttavia, è che questi temi faranno parte del documento finale".

Ma non tutti i padri sinodali sembrano concordi sull'opportunità di promuovere una "Chiesa accogliente", che "considera sempre l’umanità di tutti ed è sempre presente accanto a tutti". La polemica avanza nei corridoi del Vaticano sin dai lavori preparatori: l'acronimo è presente nell'Instrumentum Laboris, cioè nella base programmatica che i membri dell'assemblea devono tenere presente. Il timore dei cattolici conservatori riguarda il testo definitivo: se dovesse passare senza intoppi, la comunità Lgbt potrebbe in qualche modo essere riconosciuta dalla dottrina ufficiale.

Un vescovo africano, mons. Andrew Fuany, ha rilasciato quello che egli stesso ha definito un commento "categorico": "Non voterò un documento sinodale in cui compaia la parola Lgbt". Una delle problematiche sollevate da mons. Fuany è relativa alle possibili reazioni dei fedeli appartenenti alla sua diocesi: "Il 99% mi chiederà cosa sia". E ancora: "Noi non stiamo risolvendo problemi di Chiese particolari, ma parliamo alla Chiesa globale". Che parte dell'episcopato africano fosse critico nei confronti di questa apertura era noto da tempo. Il cardinal Sarah, all'inizio del Sinodo, ha rinunciato al suo ruolo nella Commissione per l'informazione. Un incarico troppo poco di rilievo per un prefetto di una Congregazione? Oppure una spia dell'esistenza di dissapori dottrinali?

Di certo c'è il giudizio lapidario di Fuany: "...in Africa - ha spiegato - ci troviamo ad avere governi nei confronti dei quali l'unica a contrapporsi a certe politiche è la Chiesa. Ora, se noi usiamo un certo linguaggio, ci attaccano pretestuosamente. Sul Protocollo di Maputo c'erano dei finanziatori che ci dicevano: 'O accettate l'aborto o vi tagliamo i finanziamentì'. Prendiamo atto - ha proseguito - che la società si evolve, ma per il momento alcune cose da noi non sono arrivate e non possiamo fare favori ai governi per le loro idee". La Chiesa cattolica, insomma, non potrebbe interpretare in maniera estensiva concetti recepiti in modo diverso a seconda del tipo di cultura esistente nelle singole realtà continentali. E sdoganando l'acronimo 'Lgbt' si finirebbe con il favorire alcune campagne anticlericali.

Di diverso avviso è parso il cardinale Rehinard Marx, che ha evidenziato la presenza di lobby anche tra coloro che starebbero tentando di "evitare qualcosa". "Serve - ha continuato il presidente dell'episcopato teutonico - una via comprensibile per tutti, non si vuole dare giudizi teorici sulla sessualità, bisogna stare attenti a posizioni fuorvianti, e non si possono omogenizzare tutte le culture". "Mi stupisco - ha concluso, riferendosi all'espressione 'Lgbt' - di come si insista su questa questione con le domande dei giornalisti, come se fosse il cuore stesso del messaggio di Gesù. La vita sessuale è solo una delle tematiche del Sinodo".

Alcuni tradizionalisti sospettano che la cosiddetta "lobby gay", quella che Ratzinger aveva dichiarato di aver sciolto, stia spingendo affinché la comunità Lgbt venga tutelata dai testi ufficiali.

Si tratta di un'ipotesi da inserire nel contesto di scontro dottrinale tra i conservatori e i progressisti. Il documento finale è quasi pronto. Per venire a conoscenza dell'esito di questa ennesima diatriba bisogna solo aspettare.

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