"Né Slovenia né Croazia, questa terra è italiana. Al massimo può essere una regione di mezzo, un'exclave". Marko è un italiano e seduto alla panchina sogna persino un'annessione, parola caduta nell’oblio della politica internazionale occidentale. Se mai c’è stato un momento in cui l'Italia poteva riacquisire porzioni di territori ad est, ciò è accaduto nel 1975. Trentaquattro anni fa il Presidente del Consiglio italiano Mariano Rumor e il ministro degli esteri serbo Miloš Minić firmarono l’accordo che definiva i confini tra Italia e Jugoslavia. Il trattato di Osimo entrerà in vigore nel 1977, mettendo fine al drammatico esodo che aveva portato quasi 350mila italiani ad abbandonare le proprie case a seguito del massacro delle foibe. Più di tre decenni dopo, l’Istria e alcuni territori del Quarnaro e della Dalmazia rappresentano vere e proprie terre di mezzo, in cui l’eredità culturale, sociale e umana italiane si percepiscono in ogni angolo.
Tra bilinguismo e appartenenza
A Pola, capoluogo dell'Istria, le tracce e le voci di casa sono così profonde che a tratti ci si dimentica di essere all’estero. I palazzi storici e le strade sono indicate in doppia lingua, grazie all’adozione di un legge che prevede il bilinguismo in specifiche aree o città croate e slovene. Tutt'intorno le migliaia di turisti italiani riempiono quei pochi vuoti lasciati nell’immaginario estero, e le loro voci si fondono a quelle degli italiani autoctoni e dei croati che parlano la lingua di Dante.
Nel centro della città, in una delle sedi della Comunità Italiana incontriamo Maurizio Tremul, presidente dell’Unione Italiana, che conta circa 37 mila iscritti, mentre sono più di 4600 gli allievi delle scuole italiane: tra Slovenia e Croazia 14 scuole dell’obbligo e 7 licei: "Siamo una comunità rispettata, anche se abbiamo diverse questioni da portare avanti e dobbiamo fare in modo che il bilinguismo sia effettivamente attuato".
Ancora oggi il grande senso di appartenenza degli italiani verso quella che chiamano "nazione madre" è molto forte. "Sempre più persone stanno acquisendo passaporti italiani. Non cambia nulla, ma siamo orgogliosi di essere italiani e ci sentiamo di esserlo forse più degli italiani stessi", dice Tremul. Basta poi dare un’occhiata sul web, spesso termometro di gruppi in movimento e sentimenti in fermento. Ma dalle Istituzioni locali i fenomeni vengono bollati come folklore.
Gli italiani di Fiume
Proprio a Fiume, nell'immaginario collettivo città dell’omonima impresa, oggi sono in corso discussioni tra la comunità italiana presente e le istituzioni locali. Qui, rispetto a Pola l'atmosfera è meno "italiano-centrica" e le dimensioni urbane disperdono la percezione di comfort, ma lo stile anni Trenta confeziona Fiume proprio nella città vintage spesso immaginata.
Non lontano dalla sede di Radio Rijeka, è proprio da un palazzo storico nel cuore della città vecchia che partono le istanze portate avanti per i diritti della minoranza.
"Certo, noi fiumani siamo più simili alla gente di Trieste che ai croati - confessa Miran Corva, presidente della Giunta Esecutiva dell'Unione Italiana - ma l'importante è che la Croazia ci riconosca come comunità e rispetti la nostra cultura e la nostra lingua. Stiamo lavorando per far inserire insegne che indichino il nome originario di vie e palazzi e vorremmo la scritta 'Fiume' all'ingresso della città".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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