La Romania sta segnando proprio in queste ore il confine della democrazia moderna. È un paradosso, un limite, un punto chiave, un test di resistenza. La storia è questa. Calin Georgescu vince il primo turno delle elezioni presidenziali con quasi il 23 per cento dei voti. I sondaggi gli attribuivano una forbice tra il 4 e il 6%. Il personaggio è piuttosto particolare. Ha 62 anni e come punto di partenza sarebbe un agronomo. La sua carriera si sviluppa però nella diplomazia e ricopre diversi incarichi all'Onu, dove si occupa di diritti umani e rifiuti pericolosi. Quando entra in politica è visto soprattutto come un tecnico, una sorta di Monti italiano, tanto che sfiora la carica di primo ministro. La svolta arriva nel 2021 quando fonda il movimento Pamantul Stramosesc, che si può tradurre in italiano come Terra ancestrale. Lo slogan di partenza è «terra, cibo e acqua». È la difesa di agricoltori e artigiani contro la globalizzazione. È iper tradizionalista e si batte contro la tecnologia e le derive post umane. I suoi discorsi pubblici evocano una sorta di ideologia fasciocomunista con richiami, sconcertanti, all'elettorato cattolico più integralista. Si batte contro l'aborto ma ci mette di suo le prediche sul parto cesareo che «interrompe il patto divino tra madre e figlio». Si diverte anche a elogiare il dittatore fascista Ion Antonescu e le teorie di Corneliu Codreanu. «La storia nazionale parla e ha parlato tramite loro e non attraverso i lacchè delle potenze globaliste che oggi governano la Romania».
Il punto di forza elettorale è però l'appoggio incondizionato alla guerra di Putin, gli insulti alla Nato, i dubbi sull'Europa, l'antipatia per la resistenza ucraina. I suoi discorsi sono basici e puntano alle viscere dei disillusi rumeni o di chi vive di rabbia e paura. Il discorso non è nuovo. Quello che cambia è il palcoscenico e la velocità di radunare le masse. Il caffè, la birreria, il palco di Calin Georgescu si chiama TikTok e a sostenere i suoi comizi ci sono migliaia di automi che diffondono le sue parole raggiungendo il suo pubblico ideale. Circa 25mila account TikTok sono diventati molto attivi due settimane prima delle elezioni. Un migliaio di questi hanno avuto un'attività estremamente bassa fino all'11 novembre. Da quella data in poi, l'intera rete è stata attivata a pieno regime. Il sospetto, quasi la certezza, è che a muoversi siano state le truppe virtuali di Putin, i robottini social della propaganda live.
La Corte Costituzione romena si è interrogata sulla legittimità di questa campagna elettorale e la sentenza è arrivata. Il voto è stato influenzato da una potenza straniera. È tutto da rifare. Il primo turno elettorale è stato annullato. Eccolo allora il punto focale. Questa sentenza apre una questione, non solo filosofica, sui canoni della democrazia occidentale. Come ci si difende dalla propaganda esponenziale delle piattaforme social? Le risposte a questa domanda segnano il destino della civiltà liberal democratica. La realtà è che non c'è un sì o un no. Non basta ragionare con una logica binaria. La Russia in Romania fa propaganda? Questo è palese, ma nella storia delle democrazie le potenze straniere in chiaro o in scuro hanno sempre cercato di influenzare la visione, spesso la realtà, degli elettori. Il voto però non veniva annullato. Basta guardare all'Italia, con i soldi di Mosca o di Washington, con gli intellettuali con falce e martello o a stelle e strisce. I dubbi ci sono e ci saranno sempre. La democrazia non è immune dalla propaganda e neppure dalle false notizie. La speranza che i cittadini con la cultura e la scolarizzazione di massa avrebbero avuto consapevolezza e capacità di svelare la menzogna è svanita da tempo. Davvero si può annullare un voto per propaganda avvelenata? E come si fa a stabilirlo? Dove sta il confine? Quanto questo può essere influenzato dalle opinioni, e dalla propaganda, di chi in quel momento è al potere per delegittimare i propri avversari? Non c'è dubbio che quella di Putin sia guerra sporca e che Georgescu faccia il gioco di Mosca. Ti chiedi allora se la sentenza spetti alla Corte Costituzionale o a un tribunale ordinario. Se Georgescu è un «traditore» la questione non ha a che fare con la democrazia ma con la sicurezza dello Stato. Solo che l'accusa di tradimento non è così facile da dimostrare e allora si torna al punto di partenza. Come si difende la democrazia dalla guerra sporca?
Ci vorrebbe un intervento della Corte Costituzionale a priori, alla foce. Ci sono idee che sono anti costituzionali. La società aperta si difende dai suoi nemici. Ci sono movimenti e partiti che sono semplicemente fuori dall'arena democratica. Non si possono più accettare. Qui però si apre un'altra cicatrice. Si possono processare le idee? I fatti sì, ma le opinioni, anche quelle meschine e scorrette, davvero si possono mettere all'indice? Il rischio è che la cultura liberal democratica abbia paura della sua tolleranza. È come rinnegare i propri principi fondamentali. È il segno di una civiltà che teme i valori che riconosce come sacri. Non hai più il coraggio di dare cittadinanza anche a chi non è democratico. Questo è un segno di debolezza.
Ti ritrovi in una strada senza uscita. Ti difendi dai Georgescu, ma rinneghi i tuoi stessi principi. La democrazia è salva, ma non è più sacra.
Allora forse bisogna tornare alle origini: la sovranità appartiene al popolo e non alle masse. È il senso della democrazia in America, quella scritta da Jefferson e raccontata da Tocqueville. È un viaggio a ritroso, troppo lungo da rifare.Vittorio Macioce
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