Cruise, missione impossibile: resuscitare la United Artists

Licenziato dalla Paramount, il divo si allea con la Metro e fa grandi progetti

Silvia Kramar

da New York

Tom Cruise si è imbarcato in una nuova missione, forse anch'essa impossibile. A due mesi dall'improvviso licenziamento da parte della casa di produzione Paramount, la star quarantaquattrenne ha compiuto la sua vendetta nei confronti del presidente dello studios hollywoodiano Sumner Redstone che gli aveva stracciato il contratto dopo quattordici anni di fedeltà e si è alleato con la Metro-Goldwyn-Mayer per far rivivere la United Artists, lo studio leggendario ma moribondo fondato da quattro dei più grandi nomi della prima Hollywood. Nell'ambito della nuova alleanza con Mgm, Cruise è diventato il responsabile della casa di produzione e realizzerà almeno quattro film all'anno con la sua partner finanziaria da anni, Paula Wagner, che supervisionerà le operazioni giorno per giorno come dirigente in capo di Ua. La coppia otterrà anche una quota non precisata di partecipazione in Ua, società a lungo indipendente conosciuta come «la società fondata dalle stelle» ma che di fatto è rimasta congelata da quando la Mgm alla quale appartiene ha cambiato proprietà nel 2005.
Creata nel 1919 da quattro delle maggiori star di un cinema americano che stava passando dai film muti a quelli parlati, Charlie Chaplin, Mary Pickford, Douglas Fairbanks e il regista D. W. Griffith, la United Artists, era ormai considerata una casa di produzione moribonda. Le enormi perdite del suo ultimo kolossal, Heaven's Gate, l'avevano praticamente affondata e anche quest'anno alcuni dei suoi film hanno continuato a perdere milioni di dollari: School for Scoundrels, con Billy Bob Thornton e Jon Heder, ha incassato la cifra quasi ridicola di 17 milioni di dollari e Flyboys, ambientato nella prima Guerra mondiale, ha venduto biglietti per l'equivalente di soli 12 milioni di dollari. Un contrasto tristissimo con i primi kolossal di uno studios che aveva prodotto dei film indimenticabili come La febbre dell'oro, Tempi moderni e Luci della città di Charlie Chaplin. O come l'indimenticabile film del regista Griffith, America, o anche le più belle avventure di Fairbanks, da I tre moschettieri a Robin Hood e la pellicola che nel 1929 aveva regalato un Oscar a Mary Pickford, Coquette. «Bestseller dei botteghini che sapevano soddisfare il pubblico americano grazie a sceneggiature da oscar e protagonisti indimenticabili», ha commentato Tom O'Neil, critico del sito web Theenvelope.com. «Adesso speriamo che Tom Cruise le riporti lustro. Lui è l'unico attore che ce la può fare a salvare la vecchia United Artists».
«Gli auguro buona fortuna», è stato il primo responso di Sumner Redstone, che a luglio l'aveva licenziato dalla Paramount accusandolo di averle fatto perdere almeno 150 milioni di dollari in biglietti non venduti per il suo ultimo film, Mission: impossible III, dopo che Cruise si era fatto molti nemici quando, tra le tante altre invettive legate alla sua religione Scientology, aveva accusato l'attrice Brooke Shields di aver preso degli antidepressivi. Scientology invece insegna che basta basarsi sull’ottimismo per vincere contro qualsiasi difficoltà. L’adesione a Scientology ha portato parecchi guai a Cruise. Ma lui è più appassionato che mai e non sembra cambiare idea. Ora, con una casa di produzione tutta sua, potrà decidere che film fare e a chi farli fare senza più alcuna pressione. L’attore è stato criticato perché ha «convertito» anche la sua fidanzata, Katie Holmes, che ha rinunciato ad alcuni ottimi ruoli, prima di mettere al mondo la loro figlia. Durante il talk-show di Oprah Winfrey, Cruise era anche saltato sul divano dello studio televisivo, urlando come un ossesso il suo amore per Katie e convincendo molti che la star di alcuni indimenticabili film stava attraversando, a dir poco, un periodo instabile. Sul nuovo numero del mensile Vanity Fair, Redstone si è lanciato in un altro attacco contro l'attore, dicendo che «col suo comportamento Cruise aveva profondamente imbarazzato la Paramount».
Era dal 1988 che Tom Cruise non recitava in un film della United Artists. L'ultimo, Rain Man, aveva vinto l'Oscar quale miglior pellicola, miglior protagonista (Dustin Hoffman) e miglior regista (Barry Levinson), oltre che per la sceneggiatura.

Cruise non aveva portato a casa nessuna statuetta e dopo quel grande successo era cominciato il declino di uno studios che aveva regalato a Hollywood A qualcuno piace caldo, Rocky, Io e Annie e le migliori storie di James Bond.

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