«C.S.I.» A NEW YORK PERDE COLPI

Siccome non tutte le serie televisive (nemmeno le migliori) sono ciambelle che riescono col buco, C.S.I. New York (giovedì su Italia Uno, ore 21) fa un passo indietro rispetto a quel capolavoro che è stato C.S.I. scena del crimine ambientata a Las Vegas, e non sta alla pari nemmeno del dignitoso seguito girato a Miami. Un po' perché, dai e ridai, anche i bravissimi sceneggiatori americani fanno fatica a sfornare indagini poliziesche ben strutturate, inappuntabili sotto il profilo della logica investigativa, e cominciano ad arrampicarsi sugli specchi e a trasformare ad esempio il dna in un comodo deus ex machina che tutto spiega e risolve. Un po' perché Gary Sinise, interprete dell'agente newyorchese Mac Taylor, è il meno efficace e credibile fra i capi della squadra investigativa che C.S.I. ci ha mostrato nel corso degli anni: se il compassato e freddo Gil Grissom (William Petersen) era rigorosamente fedele a una concezione scientifica dell'indagine (di pari passo con la cura messa dagli sceneggiatori nel raccontarla), e David Caruso aveva conferito all'umorale Horatio Caine i tratti di una ridondante emotività più incline a privilegiare gli aspetti istintivi, il Mac Taylor di Gary Senise spicca per rigidità espressiva, pagando dazio a un ruolo che non pare calzargli con naturalezza. C'è davvero da rimpiangere cosa sarebbe stata questa serie se al suo posto avesse accettato l'ingaggio Andy Garcia. Un altro aspetto deludente di questo «terzo tentativo» di C.S.I. è la fotografia, che non riesce a dare a New York - città fotogenica per eccellenza - un taglio in grado di distinguerla come ci si aspetterebbe. Niente a che vedere, ad esempio, con le suggestioni che ci aveva regalato una Las Vegas ripresa nelle sue atmosfere più inquietanti e rarefatte. Rispetto alle indagini compiute in California e a Miami, quelle newyorchesi sembrano inoltre eccessivamente circoscritte alla coppia di agenti interpretati da Gary Sinise e Melina Kanakaredes, mentre il C.S.I. a cui ci eravamo abituati dava un più giusto peso anche alla «squadra».

Resta apprezzabile la professionalità comunque elevata del prodotto, l'asciuttezza dei dialoghi cui il nostrano Ris dovrebbe prendere esempio, la capacità tipicamente americana di «fare la morale» ai criminali senza darlo a vedere, con due o tre frasi ad effetto che riescono a nascondere l'intento didascalico attraverso la padronanza della scrittura e alla sua essenzialità chirurgica. Speriamo ora che New York sia l'ultima tappa di C.S.I., che il tanto di buono mostrato fin qui non debba essere annacquato progressivamente solo per il gusto di allungare il brodo.

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