La "cucina garibaldina" dentro un carburatore

Lo chiamano Gigler e colleziona stelle Michelin «I piatti di certi colleghi li nascondo nei calzini»

La "cucina garibaldina" dentro un carburatore

Igles Corelli, da San Biagio di Argenta, 15 agosto 1955, segno zodiacale costellazione Leone, da giovane detto Gigler come il carburatore delle motociclette, lui ne andava pazzo e truccò il Malanca 48 testa rossa tipo Simonini per sfiorare i 105 all’ora. Professione cuoco, dicesi chef, stelle 5 ma della Michelin, raccolte tra Trigabolo di Argenta, Locanda della Tamerice, Atman, sposato con Helga, matrimoni 3, figli 4, responsabile dei corsi di cucina del Gambero Rosso alla Città del Gusto di Roma, creatore della cucina Circolare già Garibaldina.

Cominciamo dal nome.

«Inutile cercarlo su Google.

Non esiste, sono l’unico in Italia.

Il mio paese per l’89 per cento era comunista, proibito dare ai figli nomi di santi. Mio padre, Antonio, voleva chiamarmi Rigadié, mia madre, Giovanna, pensava a Pier, mia nonna decise Igles e a Filo, San Biagio, Argenta trovi Siberiano, Donovan, Sire, Erminio. Ad Alfonsine c’era il Bar dei Socialisti, all’ingresso una insegna ammoniva: vietato sputare per terra e bestemmiare».

Infanzia?

«A Mulino di Filo, scuola media ad Alfonsine, poi quella alberghiera a Brisighella, viaggio in torpedone, volevo girare il mondo. Mio padre lavorava alla Fornace, poi faceva le giornate in campagna per poter prendere il sussidio annuale. Andavo a giocare a pallone spingendo la carrozzina di Sonia, mia sorellina, nove anni più giovane. Sognavo di fare il portiere, avevo disegnato il numero 1 sulla maglietta, tre pezzi di legno per allestire la porta, alle mani i guanti di cucina di mia madre, chiesi a mio padre di calciare il pallone, lui passò via senza guardarmi. Quel fotogramma l’ho portato appresso con me fino alla sua morte e ho voluto ricordarglielo».

D’accordo, ma la cucina?

«I miei avevano preso il bar ristorante Adriatico. Sentivo profumi, vedevo piatti fumanti. Non c’erano tanti soldi, noi ragazzi andavamo a scavare nei campi per trovare residuati bellici, pezzi di bombe, granate, rame, per poi rivenderli, così con le pelli di coniglio e i fiori di camomilla, compravamo un gelato, passava il carretto con la trombetta, tre gusti, moretto, crema e limone. Mio padre aveva steso una corda con dei salami proprio sopra il mio lettino, con uno spillo,uno stuzzicadenti assottigliavo la salsiccia. Esco dalla scuola di Brisighella, dopo tre anni di studio, cercano un cuoco per le navi da crociera, mi imbarco a Genova, 1200 passeggeri 800 di equipaggio, fantastico su spiagge e palme, metto in valigia magliette e pantaloncini, arrivo a New York sotto zero, altroché i Caraibi. A bordo incontro Bruno Barbieri, io ero alle salse, come secondo cuoco, passiamo per le West India, Nassau, Bermuda, quando ci fermiamo ad Haiti non scendo, i bambini poverissimi cercano di salire a bordo, caliamo una corda con un pollo e loro ci offrono dipinti e stoffe colorate come baratto».

Siamo ancora in rada sulla questione cuoco.

«Vado in marina, Taranto, Venezia, venti mesi. Mi prendono alla mensa ufficiali, scuole Cemm (Corpo equipaggi militari marittimi), c’è da servire sei, settemila pasti. Esaurita la leva vado al Mare Pineta di Milano Marittima, come demi chef nel bar GZ, un milione e trecentomila lire di stipendio. Mio padre viene a sapere che cercano un cuoco al Trigabolo, pizzeria e ristorante. Mi chiamano, la cuoca è Gianna la sfoglina, il pizzaiolo è un napoletano, raddoppio il salario. Il proprietario è Giacinto Rossetti, un visionario affascinante, un imprenditore del gran cibo e del gran vino. Dopo sei mesi via la pizzeria, vai con ravioli di faraona con zabaione di parmigiano, risotto con le folaghe. Avevamo clienti da ogni dove, pure artisti americani. Alla brigata si aggiunge Bruno Barbieri, Mauro Gualandi è il pasticciere, siamo tre ai fuochi, due in sala».

Ecco la storia.

«Dopo quattro anni la prima stella, dopo sette la seconda e poi il Sole di Veronelli, le 3 forchette del Gambero Rosso, 19,5 e 4 cappelli dell’Espresso, 30 su 30 di Piccinardi, eravamo la terza cucina italiana dopo la Cassinetta e Gualtiero Marchesi. Ho avuto allievi eccellenti, Barbieri, Italo Bassi, Marcello Leoni, Marco Cassai, Piero (Pierluigi) di Diego».

Sedici anni di gloria, le stelle tatuate sull’avambraccio destro, due ore di lacrime per la stella cancellata, poi la farfalla Igles prende il volo. Come andò?

«Una balla. Ho avuto tre ristoranti in cinque anni, compreso Atman, altra stella. E questi cuochi detti chef, che stanno sei mesi in un posto, poi ne aprono un altro e così ancora, mai fermi, loro».

Molta cucina televisiva.

«Molti spadellatori, molti chef senza ristorante, pochi sanno cucinare, molti fingono. Vi porto un esempio: vado, insieme con altri cuochi stellati, da Ferran Adrià a Roses. Lui serve l’uovo invertito.Una cosa orribile, fingo di ingoiarlo, lo trattengo in bocca, poi lo infilo furtivamente nel calzino sinistro, come avevo fatto con un polmone bollito offertomi dai genitori della mia prima fidanzata. Mi accorgo, però, che altri cuochi invitati fanno gruppetto in un angolo, li smaschero mentre affettano un pata negra. Furbetti».

Altri calzini rifugio?

«Sì, in Italia, con la caramella di acciuga, non dico in quale ristorante».

Da Brisighella al Gambero Rosso di Roma, con la supervisione alle cucine del Bernini Bristol e altre consulenze nella grande distribuzione alimentare, di qualità. E poi?

«E poi vivo, Roma è bellissima, nessun desiderio di aprire un ristorante, costi troppo alti, personale difficilissimo da reperire se vuoi garantire il servizio di livello, è cambiata la clientela, la gente non può e non vuole spendere 100 euro a testa, prevedo una variazione, un compromesso tra apericena e happy hour, prezzi più contenuti, musica giusta, ambiente di rispetto, qualità dell’offerta. Per i tre stelle i bilanci sono altissimi e, infatti,i grandi cuochi fanno altro, televisione ed eventi. Io insegno agli studenti del Gambero, spiego come utilizzare tutte le parti del cibo, cucina circolare, niente sprechi ignoranti, illustro senza troppe chiacchiere.

La cucina italiana è unica, molti non lo hanno ancora capito».

Oggi Gigler non sgomma più in motocicletta, il budello della salsiccia, sopra il letto a Filo, è un ricordo antico, mentre la dolce Helga sa spegnere i fuochi. Restano accese le stelle.

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