Piccolo Lago, la magia dell’acqua dolce

Il ristorante bistellato sul lago di Mergozzo rappresenta il centro del sistema di Marco Sacco, chef che è il massimo cantore di un territorio magnifico, quello del Verbano. Il menu Lungolago, costruito per celebrare i cinquant’anni del locale, è un susseguirsi di idee e suggestioni legate a una passeggiate in zona, con alcuni piatti davvero difficili da dimenticare

Piccolo Lago, la magia dell’acqua dolce
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Di Marco Sacco e di quanto abbia fatto per il territorio del Verbano e per tutto il Piemonte vi ho già detto qualche giorno fa, raccontandovi il suo lavoro all’hotel Verbano sull’Isola dei Pescatori, una delle tre Borromee, dove cura un ristorante piacevole e territoriale. Oggi vi racconterò invece la mia esperienza nel suo ristorante-ammiraglia, il Piccolo Lago che sorge come un airone solennemente assiso sulle palafitte sul lago di Mergozzo, a poca distanza dalla punta occidentale del lago Maggiore.

Qui Sacco da molti anni porta avanti un ristorante che è il cuore di un progetto più ampio di valorizzazione della cucina di acqua dolce, che lo stesso chef declina anche animando la manifestazione “Gente di lago”, che elettrizza ogni autunno l’area richiamando grandi chef e un plotone di appassionati. Sacco è un figlio d’arte, il ristorante era stato aperto dal padre Gastone, che gli ha trasmesso la passione per il lavoro e per il cibo che lui interpreta oggi come una chiave universale per comprendere le altre persone, il mondo e la vita tutta. Un progetto nel quale sono coinvolti anche la moglie Lella e i figli Jessica e Simone, che lo coadiuvano negli altri progetti, tra i quali anche il ristorante più alto d’Italia, il Piano 35 di Torino di cui Marco cura il menu. Perché Sacco non è soltanto n grande chef ma anche un imprenditore consapevole che non si fa poesia senza far quadrare i conti e che formare buoni collaboratori è una delle chiavi per rendere sostenibile un progetto gastronomico.

Il Piccolo Lago è un’assoluta eccellenza gastronomica piemontese e italiana, un locale che vanta una stella Michelin dal 2004 e due stelle dal 2007 e che valorizza il lavoro di tanti piccoli produttori dell’area, che Marco conosce di persona e visita periodicamente. Nella mia visita ho potuto godermi il menu Lungolago, che Marco ha creato per il cinquantesimo anniversario del ristorante attingendo alle emozioni vissute nel corso di una passeggiata lungo il lago di Mergozzo con Lella: “Ci accompagnava a distanza una barchetta di pescatori, sul prato verde anatre e oche “urlatrici” di Mergozzo, più avanti nel canneto un nido con le uova. Strada facendo bambù, ranocchie, alberi di fico e di carrube, cespugli di more e lamponi selvatici, erbe spontanee e le chiocciole.
Un guizzo nel lago, probabilmente una grossa carpa, che lo abita insieme a trote, lavarelli e persici. In sottofondo il rumore del treno che collega questo luogo incantato con il resto del mondo. Tra profumi e panorami, tra castagni e rocce granitiche dico a mia moglie: adesso vado in cucina e queste emozioni diventeranno un menu, Lungolago”.

Sono partito alla grande con il Missultin, il pesce agone essiccato nel burro di montagna e il magnifico prosciutto della Valle Vigezzo affumicato con legno di ginepro. Poi il Lingotto di trota affumicata e marinata e accompagnata da una polvere di aceto balsamico a forma di sasso, gel di aceto ai lamponi e fiori eduli su un supporto di Scorzonera. Quindi una Lumaca di terra con un beurre blanche alla lattuga di mare deposta su una lumaca di mare lavorata a paté, glassata con la papaya. Poi una finta bottarga realizzata con un platano, una fregola sarda cotta con un brodo alla salicornia e mantecata con la parte grassa del pesce siluro e brodo di plata. Acrobatico anche se un po’ complesso e non immediato. Quindi le Rane spadellate al burro con maionese al cerfoglio, polline e fiore di zafferano del territorio che vengono mangiate tra due chips di riso. Ancora Riso ma in risaia, con germogli di riso da piantare nel piatto come un gioco. Poi è il momento del tè, il primo e unico italiano, quello di Premosello, che accompagna un buratello, un’anguilla giovane di straordinaria texture, abbinato una salsa ottenuta da un’infusione di panna, boccioli di rose, zenzero e le lische dello stesso buratello e un sorbetto alle rose e un cetriolo in osmosi con il basilico. Ed ecco l’Anatra: petto e patè con il fico acerbo e una parte fermentata del riso e alla fine un brodo. Infine un dolce “diffuso” che si chiama 1974 ed è una compilation di gioielli che omaggiano il mezzo secolo del ristorante: tra essi un Semifreddo al torroncino e un Tiramisù classico con caviale di caffè. E per finire - a sorpresa – uno dei rituali preferiti da Sacco, la Carbonara au Koque alla cui realizzazione semplice ma sapiente ho assistito in cucina. Un gesto di semplicità al termine di una cena estremamente articolate.

Il menu costa 220 euro, ma da quest’anno è stata ripristinata anche la carta. La carta dei vini è straordinaria, curata con nipponica dedizione dalla brava Sayaka Anzai, che da due decenni lavora con Sacco.

Buono in particolare l’Expression n°1, prodotto da Enrico Serafino appositamente per il Piccolo Lago, un Pinot Nero spumantizzato con metodo classico che prevede un riposo per cinquanta mesi sui lieviti. Una bevuta eccellente, in linea con l’esperienza complessiva.

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