Quando si tratta di mangiare, l’Italia tira da impazzire

Tra cibo e vino, mamma Italia dà la pappa a tutto il mondo. Il 5 giugno a Verona "Made in Italy - Unici al mondo", l'evento de Il Giornale per raccontare la formula che ha reso l’immaginario italiano un valore aggiunto

Quando si tratta di mangiare, l’Italia tira da impazzire

Mamma Italia dà la pappa a tutto il mondo. Il nostro sistema agroalimentare è il vanto principale del made in Italy, buono da mangiare, buono da pensare, buono da raccontare. Anche di questo si parlerà all'evento "Made in Italy - Unici al mondo" organizzato da Il Giornale il 5 giugno dalle 9,30 alle13 nella sede di Confindustria in Piazza Cittadella a Verona. I lavori, aperti dal direttore Alessandro Sallusti, saranno condotti da Hoara Borselli, Daniela Fedi e Osvaldo De Paolini. (Clicca qui per iscriverti).

Ma partiamo dai numeri: secondo i dati resi noti da The European-House Ambrosetti in occasione della presentazione dell’ottava edizione del Forum “La roadmap del futuro per il food&beverage”, la filiera agroalimentare estesa di questo piccolo Paese tra tre mari, che comprende l’agricoltura, il settore alimentare, la distribuzione, l’intermediazione e l’horeca, vale 586,9 miliardi di euro, con un aumento del 29 per cento rispetto al 2015 e un valore aggiunto di 335 miliardi, con un peso del 19 per cento del Pil italiano. Quasi un euro su cinque della nostra ricchezza matura quando abbiamo forchetta e coltello in mano.

Importante la voce che riguarda le esportazioni, che nel 2023 hanno raggiunto la cifra record di 62 miliardi. L’Italia è leader del mercato mondiale della pasta (45 per cento), degli amari e distillati (41,5), della passata di pomodoro (26,7) e gode di posizioni importanti nel vino, nelle verdure lavorate e in molte altre voci. Numeri importanti, che ci collocano al quinto posto in Europa in una classifica che sorprendentemente vede in testa i Paesi Bassi, grazie ad alcune specializzazioni e a centri di ricerca sulla tecnologia alimentare di eccellenza. Ma che potrebbero essere molto maggiori se non esistesse il fenomeno dell’”italian sounding”, la produzione e commercializzazioni di prodotti ispirati alle eccellenze italiane, con nomi spesso goffamente ricalcati (come l’americano Parmesan o il croato Prozek), che ci rubano almeno miliardi all’anno. Insomma, ogni anno il fino made in Italy agroalimentare fattura più del vero. E malgrado le azioni che l’attuale governo ha messo in atto per contrastare questa appropriazione culturale, la soluzione del problema è ancora molto lontana, anche grazie a leggi internazionali piuttosto lassiste, che puniscono solo la contraffazione o la truffa in commercio, non operazioni ambigue che giocano sul tricolore e sull’italianitudine.

Il fatto è che quando si tratta di mangiare, al di là dei numeri, l’Italia tira da impazzire. Se si va sui motori di ricerca a caccia delle classifiche delle cucine più amate del mondo, l’Italia è quasi sempre al primo posto e comunque sempre sul podio. E non parliamo di siti tra gli Appennini e le Alpi. Del nostro modo di mangiare gli stranieri amano la semplicità, la naturalità, la varietà, la ricchezza e soprattutto il fatto che esso è parte integrante di uno stile di vita rilassato, consapevole, localista e di formazione familiare che tutti ci invidiano, forse più di quanto noi stessi lo apprezziamo. Certo, gli stranieri sono vittime di luoghi comuni e indulgono in malvezzi per noi intollerabili (il cappuccino alle 18, la panna nella Carbonara, la passione per piatti come le Fettuccine all’Alfredo e gli Spaghetti con le polpette che nessuno di noi si sognerebbe di preparare, tanto meno di mangiare), che però tolleriamo in nome di un affetto che sentiamo sincero. Non è un caso che il governo italiano ha intrapreso il percorso per il riconoscimento della nostra cucina come patrimonio dell’umanità presso l’Unesco, un dossier che sembra avere ottime possibilità di avere successo anche perché chi lo ha curato ha adeguatamente sottolineato i concetti di salubrità, di biodiversità ambientale e culturale e di sostenibilità che fanno della nostra idea di cucina probabilmente la più contemporanea del mondo. L’Italia già vanta tra i patrimoni immateriali tutelati dall’Unesco l’arte dei pizzaiuoli napoletani, la cerca e cavatura del tartufo e la dieta mediterranea, di cui l’Italia è la naturale portabandiera. Ma un riconoscimento al sistema di valori complessivi legato alla nostra alimentazione avrebbe una valenza simbolica e anche economica notevole.

Naturalmente il made in Italy gastrico ha anche i suoi detrattori. O meglio, i frenatori. Come Alberto Grandi, il professore associato di Storia del Cibo all’università di Parma, che da anni in libri, articoli e podcast racconta la cucina italiana come un’invenzione recente, un’operazione di marketing che ha fabbricato una narrazione posticcia. Gli esempi sono tanti e in alcuni casi convincenti da un punto di vista storiografico. Ma nessun revisionismo storico potrà mai mettere in discussione la bontà della nostra pizza o la validità della dieta mediterranea, per quanto certamente quest’ultima fu escogitata da un fisiologo americano, tale Ancel Keys, negli anni Cinquanta dello scorso secolo per fustigare i costumi alimentari dei suoi concittadini d’oltreoceano.

Diciamo sempre che non sappiamo venderci secondo i nostri talenti, se pure in cucina dovessimo essere dei bravi storyteller, sarebbe solo un orgoglio in più. Anche perché agli altri basta assaggiarci per amarci. Perché non dovremmo fare altrettanto noi stessi?

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