Per tutto il nuovo millennio il Vecchio Ristoro è stato l’unico ristorante stellato di Aosta, dopo l’epopea del Cavallo Bianco negli anni Ottanta e prima che sulla scena aostana comparisse l’astro di Paolo Griffa, che ora è al Caffè Nazionale. Un locale, quello ak numero 4 di via Tourneuve, che ha saputo rinnovarsi negli ultimi anni grazie all’opera di due amici dell’hinterland milanese, Paolo Bariani e Filippo Oggioni, che lo hanno rilevato nel 2019 e dopo gli inevitabili stop-and-go della pandemia, lo hanno riportato sui livelli che questa insegna storica merita.
Filippo sta in cucina e Paolo in sala e alla cantina. Il primo è di formazione marchesiana indiretta, nel senso che i suoi principali maestri, Alessandro Breda del Gellius di Oderzo e Silvio Salmoiraghi dell’Acquerello di Fagnano Olona, sono entrambi allievi del grande Gualtiero e gli hanno trasmesso l’amore per la cucina stagionale, espressa, contemporanea nell’attenzione ai “nuovi” sapori (l’amaro, l’acido) ma anche classica, quasi francese, nella cura alle salse, ai fondi, ai condimenti. Il secondo è forbito ed empatico, ha una formazione “cracchiana” per aver lavorato con lo chef vicentino in via Victor Hugo a Milano, e si è trasferito in Val d’Aosta otto anni fa, dapprima a Corumayeur, dapprima al Petit Royal e poi nel suo Dandelion; ama i vini valdostani ma ritiene che i clienti locali siano un po’ troppo sciovinisti in materia e quindi li incoraggia a provare anche etichette di altre provenienze e perciò relega il notevole assortimento regionale sul fondo della carta. Piuttosto, spinge le donne del vino riunite nell’associazione Sbarbatelle, promuovendone alcune etichette in “homepage”.
In questi giorni e fino al 23 novembre al Vecchio Ristoro si serve un menu dedicato alla cacciagione, con piatti come il Colombaccio marinato al melograno con rafano e radicchio, lo Spiedo di pernice grigia e capasanta al rosmarino e il Riso al burro acido, capriolo marinato, e miele di alta montagna. Un percorso che si può avere con tre portate a scelta (80 euro) oppure cinque portate (110). Io però mi affido al menu autunnale, cinque (110 euro) o sette passaggi (145) a mano libera, oppure una carta da cui si possono attingere almeno due piatti. Dopo una cinquina di snack e dopo una Crema Vichissoise tiepida con olio al mandarino e liquirizia servita in una tazza che, con un croissant burro e miele, riproduce una colazione alla valdostana, entro nel vivo con un’Insalata di coste, gambo e foglie preparate in due modi differenti, bagna cauda alla nocciola, aglio nero, acciuga, bergamotto che dona acidità a un piatto che mi pare il manifesto della cucina di Oggioni, complessa per larghezza gustativa. Interessanti anche le Capesante alla Valdostana, con fungo cardoncello, cachi, un po’ di mandorla e di rafano (rafano che è una presenza frequente nei piatti del VR). Quindi mi vedo arrivare il Salmerino da Morgex, al barbecue con salsa al vermouth e acetosella, il suo fondo e le sue uova, un piatto buono ma che non mi colpisce particolarmente, come invece fa la Mugnaia che, dopo un esplosivo Cioccolatino bianco ripieno di blue d’Aosta e ricoperto di caviale e scalogno in agrodolce, mette in scena un’altra riflessione sui sapori estremi, in questo caso l’affumicato: da una parte gli ingredienti della mugnaia, farina bruciata, salsa verde, prezzemolo fritto, limone wasabi, poi un filetto di fassona valdostana cruda con un sugo cotto di carne e la sua trippa bollita con salsa al burro bianco. Un piatto che è uno degli episodi salienti della serata, e che è anche un omaggio di Oggioni al suo maestro Salmoiraghi.
Il piatto principale è un Camoscio cotto in umido all’aostana, affumicato sul pino, una salsa di vino rosso, grappa, chiodo di garofano, ginepro, cardamomo, un po’ di sangue a legare il tutto. Accanto un potentissimo Puré di patate ratte della bassa Valle leggermente affumicato. Bum.
E’ il momento del dolce. O forse ancora no. Perché il predessert mi spiazza, si tratta di alcuni ravioli farciti delle parti meno nobili del capriolo, con un consommé all’asiatica con pepe di timut, sesamo ed erba cipollina. E anche il vero dolce alla fine lo è fino a un certo pure: una Panna cotta al fieno, yogurt sia in spuma sia in gelato, pinoli di cirmolo, la loro crema e un filo di limone che gioca molto sulle acidità ma è comunque assai golosa. Alla fine della pasticceria assortita: ricordo con piacere un cannoncino con crema al tabacco da pipa, un biscotto al caffè, le tegole da intingere in una crema con una componente acida.
Il percorso è interessante, stimolante, alla fine mi manca forse un primo gustoso, non per italica tradizione quanto per il bisogno di intervallare la successione di piatti molto virati su sapori inconsueti con qualcosa di più confortevole. Certamente si tratta un pecorso che un palato allenato gode in tutte le sue sfumature ma che riserva gioie anche agli altri.
La carta dei vini è ricca, del resto ne abbiamo già parlato.
Il servizio di Paolo impeccabile e caldo e senza sbrodolamenti narrativi che ormai annoiano i più, il locale confortevole, con tavoli ben distanziati in un ambiente che reca elementi alpini inseriti in un contesto minimal-chic.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.