Per non sembrare islamofobici svendiamo pure i nostri valori

Houellebecq ha detto di aver visto, negli atenei, più ragazze velate di quante avesse immaginato, che un tempo la sinistra non era antisemita e che mai avrebbe potuto esserlo

Per non sembrare islamofobici svendiamo pure i nostri valori

Il Corriere della Sera ha deciso che a occuparsi di Islam e immigrazione (connubio) non debba essere soltanto Ernesto Galli della Loggia, e ieri ha pubblicato un importante intervista allo scrittore francese Michel Houellebecq ossia uno che, dice lui di se medesimo, «capta prima». È vero, ha dimostrato di aver ragione, e il problema, per andare subito al punto, e che invece noi non captiamo neanche dopo.

Ma vediamo che cos'ha detto. Houellebecq pubblicò il suo romanzo Sottomissione 10 anni fa, nel giorno in cui ci fu l'attentato rivendicato da Al Qaeda contro il settimanale satirico Charlie Hebdo, che peraltro aveva in copertina proprio Houellebecq: e le sue profezie sull'infiltrazione dell'islamismo in Europa, fiction a parte, da allora si sono rivelate anche più discrete della realtà. E, da allora, lo scrittore è spesso accusato di Islamofobia da chi non sa distinguerla dalla legittimità e attualità dell'anti-islamismo.

Ora Houellebecq dice che ci sono nuovi immigrati, che un tempo non si parlava di Islam e che oggi non si parla d'altro (in Francia, almeno) e dice che la penetrazione dell'Islam nella società ha luogo anche attraverso l'educazione e l'università: soprattutto dopo la strage del 7 ottobre. Ha detto che chi controlla l'educazione controlla altre cose, e che oggi, rispetto a un tempo, i genitori stanno dalla parte dei ragazzi contro i professori e l'istituzione scolastica.

Houellebecq ha detto di aver visto, negli atenei, più ragazze velate di quante avesse immaginato, che un tempo la sinistra non era antisemita e che mai avrebbe potuto esserlo: un po' come in Germania, dove sembravano tutti immunizzati perché inceppati nel loro senso di colpa. E invece. Ha detto, soprattutto, che la situazione si è subdolamente aggravata perché oggi occorre essere particolarmente attenti a non ferire nessuno, che predomina l'idea (woke) di incitare la gente all'autocensura: «Io non ho fama di fare molta attenzione. Semmai il contrario. Eppure, faccio più attenzione adesso di 10 anni fa. Sempre non abbastanza, ma sì, faccio più attenzione a quel che dico».

Houellebecq ha detto molto altro, pane quotidiano di un dibattito molto francese, molto europeo e sempre meno italiano. L'esecrazione o confutazione di un improbabilissimo «fascismo», qui, ci ha reso strabici. Da noi ogni critica anti-islamista viene sovrapposta a una presunta islamofobia (accusa rivolta anche a Houellebecq) intesa come neologismo che indica una discriminazione anti-musulmana ingiustificata. È islamofobia anche non giudicare compatibili i precetti della religione islamica coi principi costituzionali occidentali, lo è, in concreto, l'opposizione a dottrine e pratiche che mirino alla creazione di uno Stato islamico (teocrazia) e che abbiano nella religione islamica i principi per regolarne la sfera economica, politica e sociale.

Michel Houellebecq scrisse il suo libro dieci anni fa, e lui, come detto, «capta prima». Lo fece nel 2014. La domanda, perciò, diventa questa: che cosa accadrebbe, oggi, se Oriana Fallaci pubblicasse le due paginate de La rabbia e l'orgoglio sul Corriere Della Sera? Era il 2001: come verrebbe accolta? Se non sarebbe tacciata di islamofobia è solo perché la parola non era ancora stata inventata. Oggi è molto più facile parlar male del Papa che non di un milione e mezzo di islamici che vivono da noi. Oggi non si può antipatizzare per l'Islam, per esempio su Facebook, senza che scattino censure. Oggi i capi di Stato eliminano il vino da tavola nei convivi diplomatici e accondiscendono al galateo di teocrazie dove le condanne e violazioni dei diritti umani sono la norma. Oggi il velo islamico è prodotto dalla Nike. Oggi ci sono zone, non solo a Milano, dove la gente prega per strada e dove ogni tanto riecheggia il muezzin. Oggi nei talk show vengono ospitati islamici che accusano gli italiani maschi di «patriarcato», e per trovare uno uomo delle istituzioni che si batta apertamente contro la segregazione femminile occorre arrivare quasi in Slovenia (a Monfalcone) e intervistare la sindaca. Oggi, sotto il profilo della sicurezza, siamo quasi assuefatti a un certo tasso di esposizione e pericolosità del vivere comune: giudichiamo normale scegliere le vacanze all'estero sulla base degli attentati, sappiamo che prendere un aereo è diventato e resterà un inferno, che per morire basta frequentare locali, concerti o riviste satiriche, che i pazzi e i lupi solitari sono dietro l'angolo, che ormai ogni spostato mentale può trovare un movente politico nel jihad.

Ci siamo raccontati la ridicola e inconsistente bipartizione tra islam moderato e radicale, che le primavere arabe guardassero a un modello laico-occidentale, che sciiti e sunniti non convivano tranquillamente tra loro nelle nostre città, che noi tutti non abbiamo ristretto le nostre libertà politiche e civili né abbiamo rinegoziato la nostra sicurezza pubblica. Non abbiamo ancora svenduto i valori cardine della nostra democrazia, in effetti, ma la sensazione è che stiamo trattando.

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