Una fiaba per parlare "la lingua dei serpenti"

Bestseller in Francia grazie al più romantico dei "passaparola", L'uomo che sapeva la lingua dei serpenti, opera prima di Andrus Kivirähk, è una metafora fiabesca che reinventa civiltà, umanità e progresso per affrontare il tema della tradizione e della sua dissoluzione

Una fiaba per parlare "la lingua dei serpenti"

Una storia fantasiosa che affonda le sue radici nei misteri ancestrali che affliggono gli uomini e la loro esistenza. Quello di Andrus Kivirähk, scrittore prodigio della piccola Estonia, è un romanzo irriverente, dalla prosa colloquiale, coinvolgente e semplice da leggere per chiunque voglia immergersi in un mondo incantato e lontano, come quelli del nostro passato di giochi da bambini.

Ambientato in una versione fantastica dell'Estonia medievale, L’uomo che sapeva la lingua dei serpenti (La Nave di Teseo) segue la crescita e le avventure del giovane Leemet, figlio di una famiglia di cacciatori-raccoglitori che abitano la foresta e “ultimo” a parlare l'antica lingua del serpente - idioma che permetteva a pochi discepoli di comandare gli animali.

In questo universo di fiaba e metafore, dove il protagonista si troverà a cavallo tra due mondi, moda e credenze si interfacciano in una piccola realtà immaginaria dove “gli orsi sono seduttori nati e terribilmente attratti dalle femmine umane” - e fanno loro visita quando gli uomini sono a lavoro nei campi come è proprio degli amanti delle nostre terra; dove i pesci possono esser "giganti" e avere la barba. Dove da una parte gli uomini di ferro, ossia i nostri antichi cavalieri evangelizzatori, portano “Gesù sulla bocca di tutti” rendendolo un “successo fenomenale” e dall’altra sopravvive ancora il “mito” della Salamandra distruttrice.

In tutto questo costrutto letterario Kivirähk cercherà di bilanciare tradizione e modernità, per attraversare le lotte che dall’alba dei tempi hanno afflitto le nostre società moderne. Impiegando religione e violenza come mezzo di raccordo e paragone per affrontare tematiche complesse quali il progresso, la tradizione e la sua inequivocabile dissoluzione.

“La stupidità è più forte della saggezza. L'idiozia è coriacea come una radice conficcata nella terra un tempo calcata dagli uomini. La foresta si moltiplica, nel villaggio nascono sempre più persone; e io sono l'ultimo uomo a sapere la lingua dei serpenti”. Frase, questa ultima, ricorrente nel libro dove il protagonista Leemet si troverà - suo malgrado - ad assistere alla “morte di un mondo” tra riflessioni incantevoli e disincantate sui vecchi retaggi, atti efferati e ironie velenose che, come nei migliori plot, daranno luogo e sfogo a nostalgie mai sopite.

Alla domanda su come avrebbe descritto il suo libro, Andrus Kivirahk anni fa rispose: “Immaginate che sia la fine del mondo, e Tolkien, Beckett, Mark Twain e Miyazaki (con saghe islandesi e fumetti di Asterix sotto le braccia) si riunissero in una capanna per bere e raccontare storie intorno all'ultimo falò che il mondo avrebbe mai visto”. Al lettore cosa resta da fare dunque? Convincersi o che questo cinquantenne giornalista estone con l'espressione paciosa nelle foto sia un pazzo incautamente troppo autoreferenziale, oppure credergli e procurarsi una copia de L’uomo che sapeva la lingua dei serpenti (Edito da La Nave di Teseo, 22,00 euro). Per tentare di dargli torto.

Il nostro verdetto è che si tratti di una storia di passaggio di un testimone per la salvaguardia di una sorta di "sapere ulteriore" sotto forma di una consapevolezza interiore di ciò che l’uomo, sia capace o meno di parlare la lingua dei serpenti, in finale é sempre stato. In un mondo nel quale tutto si perde, ma nel quale tutto, a volerlo davvero, si può ritrovare.

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