Vida Shahvalad, arrivava dall'Iran, aveva 21 anni ed era venuta a studiare in Italia. L'hanno trovata pochi giorni fa in un garage della periferia di Napoli, in auto con il fidanzato Vincenzo. Sono morti tutti e due per le esalazioni dei gas di scarico della vettura rimasta accesa. La polizia morale di Teheran non voleva che la sua salma rientrasse nel Paese: si era appartata con un uomo e quindi era una «poco di buono immorale».
Ieri invece in Afghanistan hanno riaperto le scuole. Ancora una volta (la terza) le ragazze sopra i 12 anni sono rimaste a casa. Per loro non è previsto alcun tipo di educazione. Anzi, l'educazione è considerata un pericolo mortale, da cui i mullah si preoccupano di tenerle alla larga.
A tenere insieme le due notizie è un evidente elemento in comune. Per quanto possano essere forti e giustificate le proteste contro il patriarcato occidentale, la prima linea nella lotta per i diritti delle donne non è qui. È nei Paesi più poveri e in particolare in quelli a cultura islamica. Le donne musulmane sono circa 800 milioni: in molte zone del mondo, anche se la loro condizione rimane al di sotto degli standard occidentali, nello spazio di due generazioni hanno fatto passi da gigante. In Egitto, per esempio, il numero di donne universitarie è quasi pari a quello degli uomini. Altrove il genere femminile resta in una situazione di umiliante sottomissione.
A Napoli il papà di Vincenzo, il fidanzato della povera Vida, ha fatto di tutto per far tornare a casa il corpo della ragazza.
Ha detto che i due giovani sono stati ritrovati vestiti, lui seduto sul sedile anteriore e lei su quello posteriore. I due non si toccavano. Lo ha giurato in modo che le autorità iraniane ne prendessero nota. L'ambasciata ha detto che il rimpatrio ci sarà.
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