Per secoli a Capodanno con schiocchi di frusta si scacciavano gli spiriti maligni che altrimenti avrebbero turbato il nuovo anno. Da cui l'usanza dura a morire dei botti di mezzanotte. Del resto, per ridestare la fertilità della natura, ancora a inizio del secolo in Europa si sparava sui campi di grano e sugli alberi da frutto. Oggi, lo si fa dai balconi: identico il gesto propiziatorio, opposto di solito l'effetto. In moltissimi Paesi e in ogni epoca, poi, si pensava e si pensa che tutto l'anno sarà simile al Capodanno: chi quel giorno possiede denaro, ne avrà poi in quantità, chi spende molto spenderà molto tutto l'anno, chi si alzava presto continuerà così, e il dormiglione proseguirà anche dopo. Determinante, inoltre, il primo incontro del 1º gennaio: un uomo giovane porta fortuna, mentre una femmina, specie se anziana, significa disgrazia per l'intero anno. E così, in passato, se si incontrava un mendicante, un campanaro o un becchino.
Immortale e insopprimibile, la superstizione è una pianta che attecchisce ovunque, sopravvive sotto ogni clima, si nutre di poche credenze e le sue gramaglie avviluppano tutto e tutti. Chi - quale popolo o epoca - non ha proprie credenze, tabù, pregiudizi, usanze irrazionali?
Da tempi antichissimi la civetta è considerata messaggera di morte, però udire il suo verso a mezzanotte, nel bosco, fa passare la febbre. Fin dalla nascita della civiltà si crede che la comparsa di una cometa sia presagio di guerre, peste, carestie o disastri naturali, anche se quella passata sopra la Palestina duemila anni fa annunciava il Salvatore. E ancora nel 1977 due autorevoli scienziati inglesi sostenevano che alcune epidemie hanno origini extraterrestri, e possono essere trasmesse dalle comete. I labili confini tra Scienza e Fede. È lì che si insinua la superstizione.
L'eccitazione sessuale, a seconda delle regioni e dei secoli, la procuravano l'anice, la valeriana, il grasso d'oca, i semi d'ortica, il lino. E naturalmente, soprattutto nel Medioevo e nel Rinascimento, la mandragola, specie se raccolta in particolari luoghi e circostanze. Per secoli era efficace, per gli uomini, il testicolo di un asino ingerito insieme al vino (per le donne bastava della lana impregnata di sangue d'asino da mettere sotto il cuscino). Poi arrivò il Viagra.
Non è un caso, a dimostrazione del forte substrato popolare della superstizione, che essa attecchisca così bene sul terreno fecondo dei bisogni primari: sesso, cibo, salute. Se una ragazza o una moglie perde una giarrettiera, significa che l'innamorato o il marito sono infedeli. Sempre che non sia lei ad averla persa nel letto di un altro... Mentre se ancora oggi si tende a non fissare il matrimonio tra fine luglio e fine agosto, al di là del fatto che di solito i parenti sono in vacanza, è perché per secoli si è creduto che sposarsi durante la canicola fosse infausto. Invece, per non chiamare la miseria, la tradizione ammoniva a non battere la forchette sul tavolo. E già Plinio suggeriva la linfa del rosmarino come toccasana per le malattie agli occhi (i semi, invece, se messi nel vino eliminavano le lentiggini). E non diciamo, visto che siamo in tema in queste ore, dell'irresistibile fascino - dal latino fascinum, «maleficio» ma anche «amuleto» - dell'oroscopo. A cui nessuno crede, ma che come è noto tutti leggono. Galileo Galilei addirittura li faceva.
Rimedi, rituali, usanze, tradizioni: la superstizione è una gigantesca scatola magica che contiene di tutto. Fortune, malocchi, disgrazie, miracoli, scongiuri, divinazioni. È una cornucopia, una bancarella di cianfrusaglie, un universo di segni. Un mondo irrazionale, ma paradossalmente catalogabile con parametri scientifici, che serve a capire le infinite scorciatoie che l'uomo ha inventato, lungo la strada maestra della civiltà, per far fronte ai propri bisogni e alle proprie paure. Con una considerevole capacità di fantasia e immaginazione: tra folklore, arte, religione, pseudo-scienza, letteratura.
Classificare l'irragionevole per cercare le ragioni dell'indimostrabile. È quello che ha fatto lo storico Helmut Hiller nel suo Dizionario della superstizione (Castelvecchi): un'opera imponente ma ovviamente non definitiva, ricchissima anche se leggermente datata (la prima edizione tedesca è del 1986), coltissima ma molto «pop». Dalla A di «abete» (nei Paesi del Nord chi ne rubava uno si sarebbe rotto un braccio) alla Z di «zolfo» (cui fin dall'antichità si attribuiscono virtù terapeutiche di ogni genere: contro l'itterizia si portavano dei fili di zolfo infilati nei vestiti, contro il colera aveva funzione preventiva un pezzo di minerale appeso al collo), passando per voci come «digiuno», «figlie femmine», «rospo» o «seno», il Dizionario di Hiller registra i più diffusi concetti relativi alla superstizione - che al pari della fede nasce dal bisogno di soluzioni che sfuggono alla ragione - nei diversi luoghi e nelle varie epoche. Dal mondo antico al fiorentissimo Medioevo fino all'oggi (si cita un'autorevole rivista scientifica che negli anni Ottanta sosteneva che le persone religiose hanno minore possibilità di essere colpite dal cancro e maggiore speranza di vita dei non credenti...). Dimostrando come le credenze irrazionali hanno deciso la vita dei singoli e delle comunità umane in maniera più profonda di quanto abbia fatto la realtà oggettiva. E di quanto normalmente si creda.
«La superstizione fa parte della natura dell'uomo e se ci si ripropone di rimuoverla del tutto, essa si rifugia negli angoli più strani da dove, appena si ritiene di esserne abbastanza al sicuro, all'improvviso torna a fare la sua comparsa». Lo ha lasciato scritto Goethe. Che scrisse il Faust.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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