Gli aforismi di Sinjavskij affossano i soviet in nome dell'individuo

Tornano in libreria i Pensieri improvvisi del grande dissidente russo. Con stile tagliente e amore per la tradizione ridicolizza l'uomo moderno

Gli aforismi di Sinjavskij affossano i soviet  in nome dell'individuo

«Che coraggio avete di temere la morte? È come svigliaccare sul campo (di battaglia, n.d.r.). Guardatevi intorno: giacciono a terra tutti accatastati. Ricordate i vostri vecchi genitori defunti. Pensate a vostra cugina, la piccola Vera, morta a cinque anni. Così piccina, finì soffocata dalla difterite. E voi, sano, colto, temete... Suvvia, smettetela di tremare! Animo! Avanti! In marcia!».
Queste parole, poste immediatamente dopo l'incipit, sono la sorgente, lo spring, il geyser da cui trae origine una delle più singolari raccolte di aforismi di ogni tempo, i Pensieri improvvisi di Andrej Sinjavskij, che Jaca Book ripubblica in questi giorni, con un'appendice denominata Ultimi pensieri, a cura di Sergio Rapetti (pagg. 128, euro 10). Pur privo di qualunque trama o imbottitura, il libro colpisce per la sua straordinaria compattezza. La mente dello scrittore sembra vagare da un'impressione all'altra, eppure il risultato rivela una concentrazione fuori dal comune, che fa di questi aforismi qualcosa di unico nel suo genere.
Mentre scriveva questo libro, Sinjavskij attendeva che il cerchio della polizia sovietica si stringesse intorno a lui. Chi corre verso la sessantina ricorderà il processo Sinjavskij-Daniel, che fu una delle prime manifestazioni della buffonaggine crudele (la poca serietà è sempre crudele) del regime sovietico. Liberale, laico, più tolstojano che dostoevskiano, Sinjavskij (1925-1997) - originariamente noto in Occidente come Abram Terz - fu condannato a sei anni di lavori forzati non per avere detto o fatto qualcosa di insopportabile al regime, ma per non aver detto o fatto cose a lui gradite. I regimi violenti sono sensibilissimi, si offendono con facilità, sono prepotenti perché si sanno deboli e fragili, e fiutano l'offesa prima che il reo l'abbia anche soltanto pensata. La vicenda dei dissidenti sovietici è finita nel silenzio un istante dopo la fine dell'Urss. Una stirpe di eroi è passata nel dimenticatoio, come tutto il resto in un tempo di cattiva memoria. Quello che permane di loro è il frutto degli anni della formazione di chi, come me e come altri, trovò nelle opere di Solgenitsin e altri o nel coraggio sconfinato di Sacharov un alimento essenziale.
La fine di un regime non può cancellare il valore universale del loro esempio. Al centro della riflessione di Sinjavskij, più che l'insolenza del regime, è il contrasto tra l'angustia della modernità e la vastità dell'antico mondo religioso. Nel più celebre degli aforismi qui raccolti, lo scrittore contrappone un tempo in cui «l'uomo nella sua cerchia familiare era legato alla vita universale, storica e cosmica», e l'uomo del XX secolo che, «con stivaletti di fabbricazione cecoslovacca (...) scorre la notizia dell'apparizione di un nuovo stato in Africa con la stessa facilità con cui assaggia un brodi di carne francese». E mentre il contadino «spirava nelle profondità del pianeta, accanto ad Abramo», noi «scorso il giornale, moriamo solitari sul nostro divano angusto e superfluo».
Un eccellente scrittore come Sinjavskij non va, qui, per il sottile: sente che gli resta poco tempo, e che nel poco tempo il timore della morte è una distrazione nociva. Ma l'immagine straziante sopravvive alla tesi da dimostrare, così che, mentre mostra disprezzo per la nostra asfittica modernità, egli cesella la sublime immagine dell'uomo che muore sul divano dopo aver dato un'occhiata al giornale. Dovremmo disprezzare quell'uomo, e invece quale strazio per il suo destino senza nome né volto! Guardatelo: non sa fare altro che distrarsi, e anche un istante prima di morire si sofferma sull'ultimo gol, sull'ultimo successo di Sanremo.
La difesa della religione ha, qui, il sapore della provocazione. Si parla molto di Dio e della sua necessità, anche se lo scrittore si dichiara non praticante. Eppure, la passione religiosa di Sinjavskij sembra profonda e autentica. Ma si sa, il carattere di questi pensieri è di essere improvvisi, dunque non previsti dal loro stesso autore. Dio è per Sinjavskij un'evidenza del presente: davanti a Lui non ci sono masse, ma soltanto individui; non regole o leggi, ma soltanto atti gratuiti: «Il Signore mi preferisce», scrive. Ed è questa la sola vera dignità dell'uomo davanti ai carri armati della Storia: non la sua ricchezza, non la sua abilità a stare sempre con il più forte, ma preferire ed essere preferito.


Leggete, leggete i Pensieri improvvisi. Poche altre volte vi accadrà di incontrare una simile considerazione dell'unicità dell'essere umano e della bestialità di un potere che proprio di questo ha e sempre avrà una tremenda paura.

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