Fra gli album di famiglia e le pagine di storia

Memorie adriatiche: oltre l’Atlantico ed a 1.800 metri sul mare

Fra gli album di famiglia e le pagine di storia

I primi anni legati all’emigrazione non erano sicuramente tempi in cui più o meno una dozzina di ore di volo erano sufficienti a collegare l’Italia all’America o al Sud Africa. I trasferimenti dei nostri pionieri potevano compiersi solo via mare.

La meticolosa cura con cui Luca Troianich, uno di quei passeggeri, annotò addirittura i dettagli di tali viaggi, permette di farci conoscere anche i nomi delle navi allora in servizio su quelle rotte: Cleopatra, Franz Ferdinand, Carinthia, Africa, Lissa, Sultan, Eugenia, Laura, Baron Gautsch, Quellemane, Prinz Hohenlohe, Brioni, Durham Castle e Kildeman. Navi che, molto spesso, erano governate da comandanti lussignani; come lussignani erano solitamente anche ufficiali ed equipaggio – l’orgogliosa precisazione di uno dei discendenti di Troianich, Roberto Giuricich. Nato e residente in Sud Africa, anche lui conserva, come tutti i suoi familiari, uno stretto legame con la terra d’origine: Lussino, uno degli anelli di congiunzione nelle vite raccontate in queste pagine.

Furono dei lussignani infatti, nei primi anni del Novecento, a creare in Sud Africa e a Johannesburg in particolare, le basi di una comunità giuliana, andata via via sviluppandosi nel corso del secolo e in diversificate sequenze, confermandosi nel tempo significativo punto di riferimento per i successivi arrivi di conterranei - come loro disposti a sfidare molte incognite - nella prospettiva di un futuro migliore.

Quasi contemporaneamente alle prime partenze per il Sud Africa, numerosi furono anche i lussignani che si spostarono a Monfalcone, attirati dai cantieri navali lì sorti nel 1908 per volere dei Cosulich, armatori di Lussino e fondatori dell’omonima Compagnia di navigazione. Dagli anni venti l’arsenale sarebbe stato potenziato anche con l’apertura delle Officine Aeronautiche, mentre ammirevole lungimiranza imprenditoriale affiancava allo stabilimento addirittura un villaggio residenziale, destinato alle famiglie dei lavoratori.

Ad accomunare le maestranze lussignane, era senz’altro la qualificata preparazione professionale: carpentieri, falegnami, muratori, idraulici di comprovata capacità.

Il fil rouge, che collega le isole quarnerine a Trieste, Monfalcone ed il Sud Africa, si sviluppa sensibilmente nel decennio postbellico. 350.000 sono gli esodati dai territori della Venezia Giulia, che il Trattato di Pace di Parigi nel 1947 ed il Memorandum di Londra del 1954 hanno ceduto alla Jugoslavia: una moltitudine di istro-dalmati in fuga trova accoglienza nei campi profughi di Trieste che, oltre a risentire dell’effetto domino di tale movimento di massa, nel contempo vive un clima di pesante incertezza economico-politica, dopo quaranta giorni di brutale occupazione titina (1945), sette anni di amministrazione anglo-americana (1947-54), i sanguinosi moti per la sua italianità (1953) ed un sospirato ma sofferto ricongiungimento alla madrepatria (1954). La crisi cantieristica s’incrocia con quella occupazionale. Per la prima volta nella storia di Trieste si apre il capitolo emigrazione.

Triestini, monfalconesi, lussignani volgono il loro sguardo verso il Sud Africa: qualcuno laggiù ha degli amici o dei parenti; qualcuno ha sentito di meraviglie riferite da marittimi, imbarcati sulle navi in servizio su quella rotta; qualcuno scopre nel giornale promettenti offerte di lavoro e spera; molti esuli rifiutano una

sosta sine die nei campi di accoglienza sparsi per l’Italia. Qualcuno è già in Sud Africa: prigioniero degli inglesi durante la guerra, una volta uscito dal campo militare di detenzione, sceglie di rimanere.

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