Ascesa e declino degli "Effinger", ebrei e imprenditori di un mondo finito

Nel colossale romanzo-saga di Gabriele Tergit, assistiamo alla nascita del libero mercato e del marxismo ortodosso ma anche alla loro rapida fine. Il Novecento ha scelto, purtroppo, un’altra via

Ascesa e declino degli "Effinger", ebrei e imprenditori di un mondo finito

D a qualche giorno è atterrato in libreria un oggetto fino ad ora non identificato in Italia, il colossale, in tutti i sensi, romanzo di Gabriele Tergit, pseudonimo di Elise Hirschmann (1894-1982), intitolato Gli Effinger (Einaudi). Si parte dalla provincia della Germania meridionale, nel 1878, e novecento pagine si approda a Berlino, prima aspirante metropoli, poi cumulo di macerie, alla fine della Seconda guerra mondiale. Al centro le vicende di due famiglie ebraiche: i modesti ma intraprendenti Effinger, prima orologiai, poi commercianti di viti e infine costruttori di automobili; e i Goldschmidt, banchieri di vecchia data. Attraverso una serie di matrimoni, i destini degli Effinger e dei Goldschmidt finiscono per coincidere. I personaggi sono una miriade, il lettore incontrerà ben tre generazioni di padri, figli e nipoti. La ricostruzione è meticolosa e scende non solo fino ai dettagli (fondamentali) dei cambiamenti politici e sociali ma anche fino ai dettagli dell'abbigliamento e dell'arredamento. Intendiamoci: non è un trattato sociologico, nel romanzo incontrerete personaggi memorabili (Sofie, che rinuncia al matrimonio per l'arte; il parsimonioso ma geniale Paul; la vacua Annette e tanti altri). Amore e guerra si intrecciano in modo avvincente, e si arriva in fondo al «monolite» di carta quasi senza accorgersene.


I temi affrontati da Gli Effinger sono numerosi. Per cominciare: il lettore assiste all'ascesa e al rapido declino della borghesia imprenditoriale. Alla fine del Secolo XIX iniziano a confrontarsi due tipi diversi di capitalismo: uno dedito alla speculazione finanziaria, ovvero fare soldi con i soldi, tanti e subito; un altro dedito alla produzione, attento anche al contesto storico, oggi diremmo «economia sociale di mercato», caratteristico proprio della Germania moderna. Mentre gli stabilimenti di Paul si allargano, già si avvertono le minacce a una tranquilla ascesa economica: i margini sono bassi, i dazi rendono complessa l'esportazione, le tasse sono esose, la burocrazia è un disastro. La concorrenza c'è davvero, tra imprese spesso di medie dimensioni, la corruzione comincia a essere uno strumento tra gli altri... Ma senza dubbio, Tergit ci descrive un mercato nonostante tutto libero, dove il migliore (o il più tenace o il più innovatore) riesce a eccellere. Proseguendo, questo mondo, che noi chiamiamo «capitalista», va in frantumi piuttosto velocemente. I figli non hanno voglia di fare i sacrifici dei padri, preferiscono investire le rendite e dedicarsi alla Borsa. La moralità borghese, per quanto bigotta, imponeva obblighi verso la comunità. La nuova moralità è invece tanto permissiva quanto incapace di guardare al di là del proprio conto corrente. Il capitalismo portava con sé anche una forte dose di ottimismo nel progresso, in tutti i campi, e si fondava sulla convinzione che la ricchezza dell'imprenditore finisse col raggiungere anche i più poveri. Le scoperte mediche, scientifiche e tecnologiche erano lì a testimoniare il rapido sviluppo di una umanità che non aveva mai vissuto così bene. Qualcosa però si incrina. Le giovani generazioni, sollevate da molti problemi pratici, incominciano a trovare angusta la mentalità dei genitori. Sono in cerca di una fede. Scartata quella in Dio, si rivolgono da una parte al marxismo e dall'altra al nazionalismo. Le due forze, i due ideali che possono plasmare un mondo nuovo. Poi arriva la Prima guerra mondiale che mostra l'altro aspetto delle macchine: quello distruttore. Dopo la fine del conflitto, è cambiata l'aria. La crisi è feroce, la Repubblica di Weimar è un fantasma incapace di decidere, le condizioni imposte alla sconfitta Germania sono di una folle durezza. Guadagnano soltanto gli speculatori più spregiudicati. Le imprese, per non soccombere, iniziano processi di fusione oppure vengono cedute alle grande aziende in grado di resistere alla svalutazione.

E con questo, diciamo addio al capitalismo... per arrivare al mondo di oggi, che ha portato questa trasformazione alle estreme conseguenze. Siamo passati dalle aziende multinazionali alle aziende sovranazionali, con budget superiori a quelli di uno Stato in buona forma economica, e uno statuto incerto: sono ancora imprese o Stati privati o ancora qualcosa d'altro? Qual è il rapporto tra i vecchi Stati e le Sovranazionali? Le Sovranazionali offrono la sorveglianza, attraverso i Big Data, in cambio di politiche economiche convenienti alle grandi concentrazioni? Viene il dubbio che il nostro lessico vada aggiornato: questo non è più liberalismo. Il liberalismo descriveva un mondo dove i piccoli e medi imprenditori facevano la parte del leone. Oggi restano a stento nel mercato.


Gli Effinger ci mostra gli albori di questo processo. Torniamo al libro. Nella Germania degli anni Venti ci sono infatti le condizioni perché il popolo possa seguire un profeta, un «superuomo» che leghi nazionalismo e socialismo, restituendo l'orgoglio alla Germania e disinnescando il pericolo di una rivoluzione bolscevica. In cambio della libertà. Ed ecco arrivare il pifferaio magico: Adolf Hitler, con il suo mito della razza. Il nazismo toglierà tutto agli Effinger e ai Goldschmidt: la fabbrica, il lavoro, la libertà, la vita.


Gli ebrei sono al centro della vicenda ma Gli Effinger è un romanzo «berlinese» in cui molti protagonisti sono ebrei. Lo disse l'autrice stessa, ebrea, davanti ai dubbi degli editori. Il libro infatti è del 1953, e si scontrò con la paura, ancora viva nella Germania del dopoguerra, di pubblicare un romanzo in cui gli ebrei erano come tutti: buoni e cattivi, avidi e generosi, integrati e non integrati. La prima edizione degli Effinger vendette soltanto duemila copie. Nel 1977-1978 divenne un successo. Tergit era una famosa giornalista di cronaca nera. Gli Effinger fu scritto tra il 1933 e il 1950, in mezzo a traversie incredibili.

Dopo una incursione delle SA naziste, nel 1933, Tergit fugge dalla Germania, approdando infine in Palestina.


Gli Effinger, oltre a essere una saga appassionante, ci interroga sul nostro presente: le espressioni «liberalismo» e «marxismo» appartengono al XIX secolo. Sicuri che descrivano ancora qualcosa di concreto?

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