Architetto Stefano Boeri, proprio l'altro giorno, sul New York Times c'era un lungo articolo dal titolo: Le città sopravvivranno al Coronavirus? Lei che dice?
«Senz'altro sì, anche se il tema è cercare di fare tesoro di questa crisi, che non è isolata, poiché è collegata alla grande crisi climatica: le città, che producono il 75 per cento dell'anidride carbonica, devono capire come tornare a una normalità diversa da quella che ha generato entrambe le crisi. Questa pandemia mostra ancora di più l'urgenza di una trasformazione del modo di essere delle città stesse».
Dal punto di vista pratico, come si realizza questa trasformazione?
«Per esempio, nell'ambito della pandemia abbiamo imparato a valorizzare i negozi di vicinato che molti, in passato, trascuravano. Se vogliamo immaginare una città che lavori meno per grandi maglie di congestione e più per servizi sul territorio, allora le città saranno fatte di borghi, in senso moderno».
Come sono questi borghi?
«Zone in cui il commercio, la sanità, la cultura, la formazione si trovino tutti nell'arco di quindici minuti».
È possibile, per esempio a Milano?
«A Parigi, che è una metropoli ben più grande, l'idea è proprio quella di reti di servizi al cittadino, così che, in un quarto d'ora a piedi, abbia tutto ciò che serve. È possibilissimo».
Che altro serve?
«Bisogna evitare la spaventosa produzione di polveri sottili delle città e, quindi, la sfida è sulle caldaie, dalle quali proviene la maggior parte delle polveri: chiudere completamente quelle a gasolio; rendere moderne e adeguate quelle a metano; puntare sulla geotermia e le pompe di calore. E poi c'è la mobilità: ridurre i carburanti fossili e cercare di andare verso l'elettrico e l'idrogeno».
I trasporti sono un punto cruciale.
«Guardi Londra, otto milioni di abitanti: lì, la scorsa settimana il sindaco ha moltiplicato le zone pedonali e le strade solo per biciclette, anche elettriche. Ha chiuso intere strade, mentre altre le ha lasciate a scorrimento veloce, per le auto».
Le strade cambieranno?
«Dipenderà molto dalle prossime settimane. Per i primi mesi, comunque, dovrebbe esserci più spazio per i dehors dei negozi: il piano terra dei palazzi è la parte viva della città, quella che lega l'area privata e l'area pubblica. Ora che gli interni sono visti con diffidenza, più portiamo la vita dei negozi e dei locali sui marciapiedi, senza far pagare la tassa sul suolo, più diamo vita alla città».
Il marciapiede occupato riduce la strada, quindi?
«O si pedonalizza, o si fanno i marciapiedi più larghi, a scapito dei parcheggi. Ci sono migliaia di auto ferme, lamiere che in estate diventano infuocate... Ci saranno strade veloci, per i flussi di scorrimento del traffico, e zone in cui favorire il commercio e i locali all'aperto».
In inverno come si fa?
«Come si fa già oggi, per esempio nel Nord Europa. Il riscaldamento del dehors va studiato pensando che lo spazio aperto e ventilato ci protegge meglio. L'Italia ha sempre usato piazze, strade e marciapiedi, lo faremo ancora di più».
Bar e ristoranti come saranno?
«Anche lì, l'uso del dehors e dello spazio aperto è la prima soluzione. Poi, per gli interni ho visto mille soluzioni, da cuffie che scendono dall'alto a separé a muri in plexiglas, ma mi sembrano poco credibili: personalmente preferisco stare a un metro di distanza all'aperto, che stare al chiuso in una scatola».
Il volto delle città cambierà?
«I cittadini si aspettano una visione, che realizzi alcuni obiettivi in due-tre anni: caldaie a posto; mobilità elettrica e non inquinante; più verde, la grande sfida. Le piante assorbono anidride carbonica e polveri sottili, fanno ombra nelle nostre estati bollenti, favoriscono la biodiversità e migliorano la qualità della vita e la salute».
Ci vuole più verde?
«Ci vuole più verde, studiato in modo intelligente: i parchi all'aperto sono perfetti per la convivialità. In Triennale, da metà giugno organizziamo tre mesi di incontri, spettacoli e attività all'aperto, ma si potrebbe allungare il periodo da marzo a novembre. Nella città per borghi, ciascun borgo deve avere un parco importante nelle vicinanze».
I grattacieli resteranno?
«Col mio studio in Cina stiamo costruendo un bosco verticale di 220 metri a Nanchino; si tratta di due torri, una per uffici e un albergo: per gli uffici abbiamo previsto balconi e verde, ed è stato molto apprezzato. Penso che l'idea di crescere in altezza resterà, perché consuma meno suolo, lascia più spazio aperto ed è vantaggioso economicamente; ma aumenterà la richiesta di spazi aperti, anche per gli uffici, e quella di logge, balconi e terrazze, che sarà la vera sfida dei prossimi anni».
Negli uffici esistenti, magari in vecchi palazzi, come si fa?
«Bisogna rendere l'areazione più potente, pensare a scambi d'aria con l'esterno; aumentare gli spazi grazie alla minore densità di utenti, che lavoreranno sempre più a rotazione; e, nel caso, aprire le finestre, dove siano chiuse».
È la necessità di mantenere la distanza a ridisegnare tutto?
«Esiste una disciplina, la prossemica, creata negli anni '60, che si occupa di semiotica, design e antropologia e che dice cose interessantissime sul rapporto tra la comunicazione e lo spazio che intercorre fra gli individui».
Per esempio?
«Per esempio sulla possibilità di una grande intensità di affetti e di scambi, anche a distanza. Se metto un plexiglas, anche a cinque centimetri non c'è comunicazione, c'è una percezione di isolamento; se sono all'aperto, a un metro di distanza, ma intorno a un tavolo, la comunicazione c'è».
Vale anche per l'interno delle nostre case?
«Nel progetto che stiamo realizzando a Tirana prevediamo delle verande, degli spazi di ingresso arieggiabili in cui lasciare gli oggetti e utili, in caso di emergenza, per isolare qualcuno. E poi credo che, nella coabitazione, le camere da letto diventeranno spazi polifunzionali, luoghi non solo per dormire, ma in cui ci sono la tv, un tavolo da lavoro, un piccolo frigorifero... Serviranno arredi flessibili, come in Giappone».
Che cosa sparirà?
«Eh... Penso alle discoteche: la prossimità di corpi, che ne è quasi la ragion d'essere, purtroppo sarà molto, molto difficile».
E che cosa comparirà?
«Mi auguro il verde, la mia ossessione. E poi stiamo lavorando molto sui tetti, che per me sono il futuro, la quinta facciata, che non viene mai considerata: se reso abitabile, il tetto è un luogo aperto, semi-privato, dove si possono fare cose interessanti, da un orto urbano, come a Parigi, ad attività professionali, di artigianato e poi di svago, di incontro».
Come si fa a trasformare i tetti?
«A Tirana sto progettando un quartiere con i tetti collegati. Li immagino come il luogo in cui arriverà la merce, con i droni; saranno l'ingresso alle case e degli spazi aperti al servizio degli abitanti».
Con l'Expo, Milano è rinata e uno dei simboli della sua rinascita è proprio il suo Bosco verticale.
«Sicuramente. Non sarà semplice, perché Milano ha, nella densità e nella congestione, le sue caratteristiche; ma ha una energia di innovazione straordinaria, e credo ce la farà. Cambierà e ce la farà».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.