Un brano del nuovo saggio di Gianluca Montinarol'anticipazione

diFra il 1524 e il 1525 un Martin Lutero ormai quarantenne (con la Riforma che si andava affermando in buona parte del territorio tedesco mutando il volto della Germania) si trovò ad affrontare l'evento probabilmente più pericoloso della sua vita. Più dello scontro religioso avuto con il Papa, più delle controversie teologiche ingaggiate coi cardinali, più dei duelli intellettuali combattuti con il grande umanista Erasmo da Rotterdam.
Un predicatore dalle pericolose idee egualitarie, di nome Thomas Müntzer, percorreva il suolo tedesco in lungo e in largo, radicalizzando il pensiero di Lutero e invitando alla ribellione le masse più povere in nome della vera fede. All'inizio del 1525 i suoi proclami avevano fatto presa sulla fascia più vessata della società: i contadini. Le rivolte si susseguivano senza sosta. Nulla pareva arginare la violenza: massacri di inermi cittadini benestanti, saccheggi di case e distruzioni di chiese e conventi erano all'ordine del giorno. Lutero (che nell'animo fu sempre un conservatore) tentò di ricondurre gli insorti alla ragione e al rispetto dell'autorità. Invano. Di fronte ai loro rifiuti il riformatore di Wittenberg dovette prendere una decisione netta. Il rischio che la Riforma fosse accomunata alle bande ribelli e schiacciata dagli eserciti dei principi tedeschi era troppo alto. Per salvarla Lutero si dichiarò non solo estraneo ma del tutto contrario alle lotte dei contadini. Fece anche notare come il comunismo dei beni propugnato da Müntzer non fosse un «diritto naturale ma, al più, una concessione destinata a fallire per via della natura corrotta dell'individuo». Scrisse Contro le orde di contadini ladri e assassini ove, mostrandosi solidale con i principi, spronò le autorità all'annientamento delle «bande sanguinarie». Aggiunse anche «Müntzer è un diavolo incarnato, che non fa altro che chiamare al furto e all'uccisione» e i contadini, di conseguenza, «sono animati da Satana». I principi tedeschi non dovevano avere remore nello «sterminarli, scannarli e strangolarli poiché sono forze spirituali della malvagità». Queste parole costarono a Lutero la perdita di una notevole fetta di popolarità fra gli strati più bassi della popolazione. Ma consentirono al luteranesimo di continuare il proprio percorso, giungendo alla Chiesa riformata.
L'esercito dei principi, dividendo e annientando le bande contadine, riconquistò velocemente le città insorte. Rastrellò poi le campagne, massacrando i ribelli. Gli ultimi ottomila superstiti, guidati dallo stesso Thomas Müntzer, si ritrovarono nella spianata davanti le mura di Frankenhausen, il 15 maggio 1525. Davanti a loro l'esercito dei principi contava 7mila uomini ben armati ed equipaggiati. Filippo d'Assia mandò un messaggio ai ribelli, promettendo l'amnistia in cambio della consegna di Müntzer. Quest'ultimo, evocando il paragone biblico di Davide contro Golia, convinse i contadini a scendere in battaglia. Lo scontro si risolse in breve tempo, con lo sterminio pressoché totale dei ribelli. Invece di rimanere sul campo e condividere la sorte dei suoi compagni sino alla fine, Müntzer, da vigliacco, fuggì, nascondendosi in una casa. L'esercito del langravio d'Assia penetrò a Frankenhausen. Un soldato riconobbe il capo dei ribelli e lo fece prigioniero. Dopo dodici giorni di processo e di torture Müntzer venne decapitato. L'agiografia, riportando le sue ultime parole, «Tutte le cose appartengono a tutti», lo ha reso uno dei primi martiri del pensiero protocomunista.

Friedrich Engels addirittura lo celebrò come uno dei più grandi rivoluzionari della storia del mondo. Fino all'ultimo il predicatore non capì, o finse di non capire, che questa sollevazione, che coinvolse circa trecentomila contadini, non sortì altro effetto che portarne a morte più di centomila.

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