Chi è un acrobata? «La persona che avresti voluto essere, che ti fa sentire ancorato alla terra, coi piedi di argilla». Così la pensa la «divina» Marlene Dietrich. Muscoli tesi, equilibrio, forza nelle braccia e nell'animo. Ma subito dopo Marlene aggiunge, dell'acrobata (nel caso fosse un intellettuale): «Guardati da lui. È interessante, ma può stancarti, specialmente se si tratta di un uomo e tu sei una donna». Se volete farvi un'idea del fascino perturbante di Marlene Dietrich, non perdetevi l'agile e gustosissimo Dizionario di buone maniere e cattivi pensieri, appena edito da Castelvecchi (pagg. 190, euro 14,50). Qui Marlene raccoglie pensieri, talvolta folgoranti, su ciò che ha amato. Non a caso della parola «amore» offre quattro definizioni. E un'altra, lunghissima (otto pagine), sull'amore coniugale. Oltre a due chiose sull'amore fisico e materno. Se c'è un'immagine che spontaneamente si associa alla divina Marlene è, appunto, l'amore.
Marlene è il corpo ideale, l'icona meglio riuscita dell'amore. Se n'era accorto, nel lontano 1931, lo scrittore tedesco Franz Hessel (nato nel 1880 e morto in Francia nel 1941), tracciando un lieve, smilzo, sofisticato e preciso profilo della diva berlinese, pubblicato anch'esso in questi giorni: Marlene Dietrich. Un ritratto (Elliot, pagg. 56, euro 7,50). Hessel ha ispirato la figura di Jules nel romanzo Jules et Jim (1953) di Henri-Pierre Roché, trasposto sullo schermo nel mitico film di François Truffaut del 1962. È stato, insieme a Walter Benjamin, traduttore della Recherche di Proust. E come Benjamin è stato un flâneur, passeggiatore disincantato e lucido, lento scandagliatore della modernità metropolitana berlinese e parigina, attraverso i suoi splendidi e secchi romanzi Pariser Romanze, del 1920, e Spazieren in Berlin, del 1929. Narratore raffinato, Hessel è stato maestro della «prosa breve» (klein Form), a cavallo tra giornalismo e letteratura.
Hessel incontra Marlene nel corso di una breve sosta berlinese dell'attrice, di ritorno dagli Stati Uniti. È la diva del momento. Joseph von Sternberg l'ha lanciata nel capolavoro L'angelo azzurro (1930). Nel film interpreta una disinvolta cantante, Lola Lola. La sua roca voce (oltre alle splendide gambe) stregano un arcigno e tirannico professore di liceo, il Prof. Rath. L'ingenuo insegnate la sposa. Finirà male: da rispettabile professore a pagliaccio di cabaret. La caduta rovinosa di un borghese marcio e piccolo piccolo, tronfio nel pastrano e nelle meticolose abitudini, così come lo aveva messo in pagina Heinrich Mann (fratello socialista di Thomas) nel romanzo del 1905.
Ma, come nota Hessel, l'essenza del film è Marlene. Per capirlo basta scrutare nel volto degli spettatori. L'instancabile passeggiatore ha visto il film a Berlino nel cinema di un quartiere borghese, e poi in quello da quattro soldi di una periferia operaria. Scorge in sguardi così differenti lo stesso incanto. Marlene «incarna sempre un sogno universale». Scrive: «Tutti i suoi personaggi diventano oggetto della brama generale». Delle «donne pericolose» interpretate da Marlene, dice che «non si ha la sensazione che siano consapevolmente crudeli». In loro non vi è «un qualche sforzo demoniaco, tutto vien da sé». Poi si concentra sul sorriso dell'attrice, quando seduta al centro del locale L'angelo azzurro canta «dalla testa ai piedi sono fatta per l'amore», e sorride offrendo la propria sessualità. «Non è il sorriso - per Hessel - di chi vuole conquistare o farsi conquistare: è al contempo eccitante e rasserenante. E non vale solo per colui a cui il sorriso è diretto, per quanto sia proprio lui, ma lo oltrepassa, lo supera e raggiunge il mondo intero».
A ottant'anni da queste impressioni poco c'è da aggiungere.
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