Niente traders arrembanti come Sherman McCoy, niente giovani amanti come Maria Ruskin, niente soldi e niente sesso. In breve, niente falò e niente vanità. Se oggi Tom Wolfe dovesse riscrivere il suo capolavoro del 1987 si troverebbe in un immenso guaio. Lo ammette lui stesso in un fantastico pezzo satirico, uscito come apertura dell'edizione online di Newsweek, la storica rivista Usa fondata nel 1933, che ha fermato le pubblicazioni cartacee nello scorso ottobre, e che ritroviamo ora, solo in rete.
Da uno come Wolfe, capace di cogliere lo spirito di un'epoca, come era successo per quella reaganiana con The Bonfire of the Vanities, ci si aspetta un graffio profondo sul momento storico in corso. In particolare su crisi, finanza, costumi e menefreghismi sociali. Una parola potente. Parola che è arrivata: Eunuchi dell'universo.
La satira-reportage, sghemba e maligna, di Wolfe inizia nel maggio 2012, con «folla di seguaci agitati, infervorati che si dimenano» di fronte all'Hilton di New York. Sono in attesa del nuovo re del capitalismo, Mark Zukerberg, che con la sua felpa («il suo simbolo, il suo marchio, la sua divisa da battaglia») e l'indefettibile sorriso sta per far quotare in borsa Facebook. Ma da subito l'operazione si rivelerà un disastro. Aggiunge Wolfe: «Un analista del Cowen Group, Peter Cohen, ha detto: in 43 anni non ho mai visto qualcosa di più fatto a cazzo». E conclude: «Il 17 maggio è stato i giorno in cui Wall Street è stata vaporizzata. Dopo il giorno di Facebook, Wall street è stata una metonimia per indicare che il Soldo, la Grande immagine dell'economia Usa, l'eccitazione, il senso di posto in cui succedono le cose, era finito». La fine del Big Money, di un sogno, quello di un capitalismo arrabbiato, anche spietato, ma vivo che aveva avuto come simbolo i trader di Wall Street, come appunto Sherman McCoy, il protagonista de Il falò delle vanità. Gente che si sentiva Master of the universe (lo slogan viene dalla serie di giocattoli Mattel degli anni '80), che andava in borsa come in battaglia.
Wolfe racconta di uno studio scientifico di un ex trader «pentito», Johan Coates, che dimostra come «i traders con un livello molto alto di testosterone all'inizio della giornata possano più facilmente raggiungere un profitto a fine operazioni». Insomma il trader, dal punto di vista endocrinologico, diventa «il doppio di una tigre maschio, o di un toro arrabbiato». Il classico profilo dello squalo finanziario, quello che si comporta «come se facesse parte di un'élite delle forze speciali», e che definisce i piccoli investitori «pecore». Da portare ovviamente al macello. Ma, racconta Wolfe, la specie dei trader si è ritenuta per anni in cima alla catena alimentare solo perché non aveva tenuto conto della riscossa dei nerd, ribattezzato nella fattispecie «Quant», perché si occupa di analisi quantitative dei dati. Lo studioso-sfigato-senza testosterone è stato riabilitato anche in economia, da quando le operazoni finanziarie si sono affidate sempre più ad algoritmi, in pratica a computer e server. Due i nomi di spicco a riguardo, racconta Wolfe: Edward O. Thorp, che da inizio anni '60 ha studiato e messo in pratica algoritmi finanziari sempre più potenti e la cui vera ambizione «non era tanto fare soldi, anche se arrivò a guadagnare 800 milioni di dollari. Era mostrare al mondo la sua strategia, il suo genio matematico». E poi il misterioso ed elusivo James Simons, fondatore nel 1987 della Medallion Fund, società finanziaria fatta solo di matematici e scienziati.
Insomma dal trading fatto con dopamina e testosterone si è passati negli anni a quello programmato sulle serie numeriche. E non è un caso se società come la Knight Capital si sono dotate di «robo-monsters», chilometri quadrati di computer e server ubicati in zone lontane dai centri finanziari. Certo, anche l'uso del computer e del calcolo non mette al riparo da spaventosi crack finanziari: «un singolo algoritmo quantitativo per uno stock può buttare giù un intero mercato, come successe nel flash crash del 2010 e nel crollo del 2012», scrive Wolfe. Ma cosa succede al cattivo, sì, ma vitale e romanzesco broker come Sherman McCoy? «Oggi non avrebbe più un alto livello di testosterone, semmai di cortisolo, l'ormone dello stress». Non aggressività ma stress come segno del tempo, e marchio della cadute dei sogni. Basti pensare, racconta Wolfe, al discorso di Barack Obama per la sua elezione del 2008: «Non ha mai detto: Alzatevi rompete le catene e prendete ciò che è legittimamente vostro. No, ha detto invece: Noi tutti dobbiamo esaminare attentamente le nostre vite e vedere come possiamo migliorarle». Sobrietà presidenziale come variante della tristezza sociale.
Ed è quindi una chiusura tragicomica quella che Wolfe lascia enunciare al personaggio principale del suo vecchio romanzo capolavoro: «Siamo gli eunuchi dell'Universo». Parola non solo del trader Sherman McCoy, ma dei depressi animal spirits d'Occidente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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