E il guerriero Jünger conquistò la pace

Un saggio e due raccolte per capire come lo scrittore-soldato sia arrivato a rinnegare il potere catartico della violenza

E il guerriero Jünger conquistò la pace

Guerriero, scrittore, filosofo: la vita e l'opera di Ernst Jünger possono essere riassunte e spiegate con queste tre categorie, esplorate nel volume collettaneo La mobilitazione globale. Tecnica, violenza e libertà in Ernst Jünger, a cura di Maurizio Guerri (Mimesis, pagg. 212, euro 18), che raccoglie gli interventi presentati al convegno sullo scrittore tedesco tenutosi nel 2005 all'Università degli Studi di Milano. Dall'estremismo radicale degli scritti degli anni Venti fino alle meditate profondità dei diari della vecchiaia, l'opera jüngeriana è una lunga e coerente ricerca dell'eternità da parte di un personaggio che Heidegger riteneva «il più freddo e acuto pensatore» capace di vedere la realtà, che si svela soprattutto nelle situazioni estreme, di guerra e di morte.
La morte è la sostanza della guerra, e quindi, probabilmente, non è un caso che morte e guerra siano state rimosse insieme dall'orizzonte della società contemporanea. Eliminata da una giovinezza artificialmente smisurata e quindi nascosta nell'asettico freddo degli obitori, la morte non fa più parte del mistero della vita, rendendola quindi insensata. Ridotta a semplice «operazione chirurgica» o convertita ipocritamente in «missione umanitaria», la guerra non è più scontro tra avversari di pari dignità ma si è trasformata nel feroce annientamento del nemico, divenuto estraneo al concetto stesso di umanità.
Un primo, allarmante segnale di questa discesa agli inferi si ha durante il Secondo conflitto mondiale, quando allo scontro in armi tra nazioni si aggiungono gli atti terroristici dietro le linee e le inevitabili rappresaglie. In uno scritto a lungo ritenuto perduto, Jünger, nelle vesti di ufficiale delle truppe di occupazione, stila, a futura memoria, un rapporto sugli attentati che funestano Parigi a partire dall'agosto 1941, ora pubblicato per la prima volta in italiano da Guanda col titolo Sulla questione degli ostaggi. Parigi 1941-1942, (pagg. 190, euro 14), dove l'esteta lascia il posto al burocrate, attento a sottolineare come le vittime delle rappresaglie tedesche muoiano senza mostrare «odio contro la Germania o le truppe di occupazione», come effettivamente risulta dalle lettere dei condannati a morte raccolte dall'autore e qui pubblicate in appendice.
Al tema classico della guerra è invece dedicato il volumetto Guerra e guerrieri curato ancora da Maurizio Guerri e pubblicato da Mimesis (pagg. 74, euro 8), che raccoglie il contributo di Friedrich Georg Jünger all'antologia collettanea Krieg und Krieger pubblicata nel 1930, insieme con il discorso di suo fratello Ernst tenuto a Verdun il 24 giugno 1979, per celebrare l'anniversario di una delle più sanguinose battaglie della Prima guerra mondiale e auspicare l'avvento di una pace mondiale.

Con la Grande guerra una nuova, inaudita violenza ha fatto irruzione sulla scena mondiale e, cancellando la separazione tra stato di pace e stato di guerra, aveva trasformato anche l'azione politica, che diventa appannaggio di un nuovo ceto, una aristocrazia guerriera nata dal fango delle trincee e forgiata dal fuoco delle tempeste d'acciaio. Finita la guerra, il nuovo tipo umano che aveva saputo interiorizzare l'esperienza del combattimento doveva, per i fratelli Jünger, trasferire la propria volontà trasformatrice dal fronte bellico a quello interno del lavoro, in attesa della rivoluzione nazionale che avrebbe sostituito «l'azione alla parola, il sangue all'inchiostro, il sacrificio alla retorica e la spada alla penna», come scriveva Ernst sul Voelkischer Beobachter nel settembre 1923, molti anni prima di giungere alla conclusione, citata nel discorso di Verdun, che «l'era delle guerre nazionali stava volgendo al termine».
A quell'epoca eroica, fa invece riferimento l'altro Jünger, Friedrich Georg, anche lui combattente nella Grande guerra, il quale, scrivendo al crepuscolo della Repubblica di Weimar, riteneva esistesse un destino - altro tabù contemporaneo - sia individuale sia comunitario, che la guerra ci avrebbe aiutato a capire, mettendoci di fronte a scelte ed esperienze così radicali da elevare «il singolo e la società in un ambito dove legge e forma si incontrano in modo vincolante e fraterno».

L'aspirazione a una pace universale, vista come l'unica via d'uscita per l'umanità dopo l'invenzione della bomba atomica, e l'esortazione a «diventare ciò che si è» cercando di capire quale sia il proprio destino, sono la consegna che questo denso volumetto lascia all'umanità, oggi distratta da guerre mascherate da rivoluzioni più o meno colorate e strangolata da una spaventosa crisi globale, due elementi che potrebbero, prima o poi, rendere le idee dei fratelli Jünger di bruciante attualità.

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