Tempo fa, qualche mese diciamo, mi è capitato di andare alcune volte a casa di Aldo Busi. Una volta sono andato per capire dove abitava. L'altra ho suonato al citofono ma mi ha sbattuto in faccia il citofono senza farmi spiegare. Successivamente gli ho scritto una lettera e finalmente mi ha accolto. Complice Carmen Covito. Erano dieci anni che non pubblicava romanzi e io mi ero incaponito nel fargli scrivere qualcosa di nuovo per ragioni di stima e lavoro. La prima volta, il vero incontro di persona, l'abbiamo fatto in un bar di Montichiari. Quando ha capito o intuito che non ero un pazzo scatenato e si poteva dialogare, ha detto che potevamo darci del tu e ha iniziato a rispondermi o chiamarmi al telefono: «Bregola, oggi puoi venire da me alle 10». diceva. Io partivo e arrivavo da lui. «Bregola, ti voglio qui alle 9...». Sarà capitato tre o quattro volte. Tre o quattro telefonate per ciascuno. Poi qualche sms e qualche e-mail sempre molto precisa e seccante. Poi più niente.
Busi non concede nulla. Chiamava o rispondeva per cortesia, mica perché eravamo amici o confidenti. Lui mi vedeva come un tipo che voleva fare pubblicare un nuovo Busi e Busi il testo ce l'aveva. Erano diciotto pagine striminzite ma piene di arte come non se ne vedono nei malloppazzi lunghi di chi scrive trame complicatissime e inutili. Chiamava. Partivo. Ero un direttore di collana, uno del mestiere. Era lavoro.
Cosa succedeva? Arrivavo e lui scriveva. Stampava, rispondeva alle e-mail che gli mandavano giornalisti o lettori. Scriveva in una stanza dove aveva opere d'arte dei massimi della Transavanguardia e computer. Io rimanevo in sala, seduto su un divano bianco, e lui tra chiacchierate e camminate per casa, trovava anche il tempo per rileggere al computer. Riscriveva, stampava, poi mi passava i fogli per leggere e commentare a caldo. Busi era partito con una storia breve di tre o quattro pagine. Da lì la storia è fiorita, si è evoluta, è lievitata ed è diventato il nuovo romanzo uscito per Dalai intitolato El especialista de Barcelona. Lessico e sintassi complessi, letteratura vera. Era difficile leggere con attenzione e dire subito un proprio parere perché la scrittura di Busi ha bisogno di concentrazione, silenzio, lettura attendibile. Busi è uno scrittore vero, una persona fuori dall'ordinario. Sensibilissimo e capace di intuire a pelle estrazione sociale, punti deboli e forza delle persone che si trova davanti.
Io giocavo in difesa, non mi sbilanciavo, cercavo di scoprirmi il meno possibile. Non perché avessi timore o paura. Era più un fastidio personale. Sentivo una grande energia provenire dal suo corpo, dalla sua testa, qualcosa che ha a che fare col karma o cose del genere, Semplicemente riconducibile a un'atmosfera pesante che si crea nell'ambiente circostante e nell'animo. Credo si dovesse provare qualcosa del genere frequentando Céline o De Sade o un dittatore in esilio. Ma non è di questo che voglio parlare, bensì della sua scrittura dinamica. Oltre a tutto credo di aver imparato da lui che un libro, un testo, un romanzo, una storia si possono scrivere o correggere avendo sconosciuti in casa da usare come lettori per le cose che si stanno riscrivendo o perfezionando. Una scrittura dinamica, fatta di brevi letture di romanzi che si trovano nella libreria o sul tavolo, fatta di stampe immediate da far leggere nel momento esatto in cui vengono corrette. Credo sia un gran privilegio poter assistere alla creazione di pagine letterarie «alte» come le sue. Ma credo sia altrettanto privilegiato colui che può scrivere e fare leggere le proprie cose a qualcuno che è li per fare esattamente quello.
Con me un giorno c'era anche un professore di Ragioneria che fa «coccodrilli» e articoletti sul quotidiano provinciale. Entrambi aspettavamo. Lui passava i fogli. Noi leggevamo. Non credo gli importasse granché del mio parere. Non potevo far altro che lodare la sua scrittura, il suo stile. Ma non era questo che voleva sapere da me. Credo non mi tenesse nemmeno in considerazione come lettore. Credo che a Busi importasse avere qualcuno lì vicino per non perdersi nel soliloquio della scrittura. Per non perdersi nel solipsismo. Credo avesse bisogno di vittime disposte a stare al gioco, ma le vittime stanno lì perché assistono con privilegio alla creazione artistica pura e in questi casi c'è una strana energia nell'aria.
Busi è ostico, carattere ingestibile per chi come me sembrava lì col cappello in mano. Io per lui ero un possibile «rapporto di lavoro» e le sue diciotto pagine striminzite avevano un valore riconducibile al denaro. Non perché Busi sia frivolo o venale, ma perché crede che l'arte vada retribuita al meglio delle possibilità del compratore. La cosa con lui è durata poco perché poi i grandi editori hanno iniziato a rendersi conto che stava scrivendo il suo capolavoro del decennio, le diciotto paginette stavano diventando tutt'altro e allora io sono diventato un ostacolo. «Tu Bregola sei intelligente ma un po' naif». Diceva. Qui non voglio scendere nei particolari, perché io nella naiveté ci sguazzo. Posso solo dire che dopo le letture si pranzava. Preparava lui. Si beveva buon vino. Una bottiglia di rosso Valpolicella l'ho portata io, il Cabernet l'ha preso dalla sua cantina. Si mangiava bene. Busi è un orso ospitale che ha costruito una fortezza che presidia con attenzione. Non ospita nessuno in casa. Credo si senta un antico uomo del futuro. Quel che mi interessa far passare qui, è questo suo tentativo di trascendere la solitudine dello scrittore, e fare diventare la scrittura una vera e propria opera d'arte attiva, qualcosa che ha a che fare con l'action painting. Anche io vorrei qualcuno lì mentre scrivo, qualcuno da maltrattare facendolo attendere e poi stampare ciò che ho creato e farglielo leggere. Non mi interesserebbe il suo parere, o almeno mi interesserebbe poco. Ma quel che vorrei, l'esercizio che ho imparato da Busi, è quello di scrivere in azione, in movimento, con vivacità.
El especialista de Barcelona è nato in una parte del cervello dello scrittore nel 1985. Busi e il romanzo hanno intrapreso una lotta titanica: un grande scrittore, che ha dato opere importanti alla cultura europea, perfeziona il proprio romanzo mentre la casa è invasa da professori pubblicisti e gente come me. Penso che alla fine questo sia il miglior modo per non sentirsi maledettamente soli e fare qualcosa di sensato per questa nostra epoca che adora gli orologi ma non conosce il tempo. Questo è il vero corso di scrittura. Guardare come fa un grande scrittore. Stare lì e aspettare. Aspettare in mezzo a una contraddittoria tempesta di sensazioni mentre l'atmosfera si fa leggera, pesante, poi insopportabile, poi ancora leggera, pesante, fastidiosa.
Si spera finisca tutto al più presto per andare via, scappare. Scappare con la consapevolezza di avere assistito, anche solo per poco, a qualcosa di suggestivo e memorabile. Faccio un pronostico: il Premio Strega 2013 andrà a El especialista de Barcelona.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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