Ecco quanto costa scrivere versi satanici

Salman Rushdie per la prima volta racconta gli anni trascorsi a nascondersi dai sicari islamici

Ecco quanto costa scrivere versi satanici

«Per rinascere... de­vi prima morire... Come puoi anco­rasorridere, sepri­ma non avrai pianto?». Così inizia uno dei libri più famosi della fine del secolo scorso: I versi satanici ,di Salman Rushdie. Ma forse l’auto­re, quando il romanzo uscì,nel­l’ 88, non si sarebbe aspettato che quelle fra­si­potesseroes­sere profetiche anche per lui.

L’ambientazione del libro, seppur fantastica, facevari­ferimento a Maomet­to, alla tradizione co­ranica. I versi satanici sono il 19, il 20 e il 21 del­la­cinquantatreesima su­ra che sono stati espunti da tutte le versioni ortodos­se del Corano . Una provoca­zione culturale, per lo scrittore an­glo- indiano. Un motivo più che suf­ficiente, per l’ayatollah Khomeini, per condannare a morte Salman Rushdie nel febbraio ’89. Fu la pri­ma volta in cui la maggior parte de­gli occidentali udì la parola «Fa­twa ». E a molti sembrò una cosa co­sì insensata da non essere vera. Al­meno fino a quando non iniziò a scorrere il sangue: il traduttore giapponese, Hitoshi Igarashi, fu ucciso, probabilmente da emissa­ri del regi­me ira­niano; il tra­dutto­re italiano, Etto­re Capriolo, fu ferito; stes­so destino per l’editore norvegese. E Rushdie? Fu costretto a rifu­giarsi in Inghilterra e a vivere in clandestinità. Una clandestinità, e una grande battaglia per la libertà, dal punto di vista letterario piutto­sto surreale. Quando la polizia chiese allo scrittore di scegliersi uno pseudonimo, lui che non era abituato a sotterfugi alla 007, mise insieme i nomi di battesimo dei suoi autori preferiti, Conrad e Ce­chov, diventando il signor Joseph Anton. Visse una lunghissima clan­destinità, e non mancarono le pole­miche. Clandestinità su cui ora Ru­shdie ha deciso di far luce, raccon­tando la propria versione di quegli anni rubati (dopo 9 anni sotto sor­veglianza, è riuscito solo in parte a riappropriarsi della propria vita trasferendosi a New York). Arrive­rà infatti a breve in libreria Joseph Anton , il memoir di quel periodo a tratti terribile, a tratti persino comi­co nella sua follia (in Italia lo pub­blicherà a settembre Mondadori). I motivi che hanno spinto Rushdie a pubblicarlo- il titolo originale do­veva essere On Life Under Threat of Fatwa - sono diversi. Da un lato la volontà di mettere su carta la vicen­da al fine di archiviarla, per quanto possibile. Lo si nota anche dalla fra­se di sollievo con cui ne ha annun­ciato l’uscita su Twitter: «Eccolo, è qui! Il 18 settembre. In inglese e in 16 altre lingue». Dall’altro, il libro ha anche lo scopo di fare chiarez­za. Nel 2008, infatti, venne pubbli­cato in Inghilterra il libro di una del­le guardie del corpo che Scotland Yard aveva messo alle costole del­lo scrittore per proteggerlo, Ron Evans. Una testimonianza tutt’a­l­tro che lusinghiera nei confronti di Rushdie: lo descriveva come un uo­mo sgradevole, avaro e arrogante. Così malvisto dalla scorta che una volta gli agenti, non potendone più decisero di chiuderlo in uno sgabuzzino nel sottoscala - parola di Evans - per andare a bersi una birra al pub.

Rushdieintervenneimmediata­men­te attraverso i propri legali de­finendo, sul Mail , il racconto di Evans «solo una brutta commedia senza senso. Il mio rapporto con gli agenti di protezione era più che cordiale... Ma come potete crede­re che mi abbiano chiuso in uno sgabuzzino?». La vicenda legale però si è trascinata a lungo. Così, questa volta lo scrittore ha pensato di fare da solo. In attesa di settem­bre Random House, l’editore, ha già dato il via a una campagna di lancio pensata per sostenere «uno dei più estesi accordi editoriali da parte di una casa editrice per un singolo libro». E di sicuro riparti­ranno le polemiche e il can-can mediatico.

Però, successo o non successo, quei 9 anni da recluso (sia pure in una prigionia dorata), in nome dell’intolleranza religiosa islamica, a Rushdie non li restitui­rà nessuno.

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