Nato il 18 maggio 1929 in un sobborgo del comune di Dignano, provincia di Pola – come precisa - i suoi sogni di ragazzo erano comuni a quelli dei coetanei dell'epoca: fantasticando sulle letture dei fumetti come l'Intrepido, Fulmine, il Corriere dei piccoli, si desiderava girare il mondo, andare e liberarsi della povertà.
Il padre, di professione fabbro, possedeva un piccolo laboratorio a Marzana: il villaggio era economicamente vivace ed il mestiere paterno vi aveva potuto trovare positivo sbocco, dopo la grande depressione ed un breve trasferimento in Jugoslavia, dove il re Alessandro si dimostrava particolarmente attento all’Istria.
Edoardo era riuscito a portare a termine la sua istruzione, per corrispondenza, presso le Scuole Riunite di Pola.
... e poi, nel 43 cominciò la vera guerra anche in Istria: i poveri soldati italiani che scappavano da Pola dopo l’armistizio, cercando di indossare abiti civili, per scansare la deportazione da parte delle truppe naziste; l’arrivo dei tedeschi sul litorale istriano con l’assorbimento delle nostre terre nel 3^ Reich; i partigiani. Alcuni erano delle brave persone, che si nascondevano giusto per non fare il servizio militare o per non finire prigionieri in Germania, ma c’erano anche quelli stalinisti. Erano terribili! hanno buttato nelle foibe così tanti innocenti....
Significativo l’aneddoto di cui Edoardo – al tempo quattordicenne - fu protagonista. Un partigiano, entrato nell’officina del padre per farsi aggiustare il fucile, gli chiese se odiasse il fascismo. Sapevo cosa bisognasse rispondere e dissi di sì. Alla domanda però se odiassi Mussolini, non potei annuire – prosegue, illustrando gli antefatti. Era successo che la sua maestra, visti i buoni componimenti da lui elaborati, li avesse spediti a Roma: il duce, oltre ad inviargli in regalo alcuni libri, aveva disposto che egli avesse gratuitamente i libri di testo fino al completamento degli studi. Rimasto sorpreso dalla risposta, il partigiano gli spiegò che, in quanto istriano pure lui, avrebbe lasciato correre; gli diede però il consiglio di non replicare allo stesso modo con le formazioni d’oltre Monte Maggiore, perché l’avrebbero sicuramente inserito nel 13^ battaglione (modo per dire infoibato).
Tutti erano contro tutti – prosegue, raccontando come la guerra abbia lasciato profonde cicatrici nella sua famiglia, con la morte del fratello a Mostar e di una sorella ad Auschwitz. Per fortuna ho ancora una sorella che vive a New York - la sua riflessione.
Alla fine del conflitto, il laboratorio paterno venne penalizzato con tasse talmente elevate da dover chiudere i battenti. Edoardo riuscì a saldarle con il premio ricevuto per l’ideazione di un nuovo macchinario, quando successivamente andò a lavorare in una fabbrica di Arsia, che realizzava mezzi agricoli. Al momento della leva, il riconoscimento gli valse l’assegnazione alla scuola ufficiali come inventore. In cuor suo però, da sempre accarezzava la fuga in Italia; lo trattenevano le precarie condizioni di salute della mamma. Quasi alla fine della ferma, giunse il momento in cui si dovevano presentare le opzioni. La sua scelta a favore dell’Italia fece infuriare il suo superiore: venne cacciato dall’accademia e condannato a dieci giorni di carcere duro a Sarajevo. Costretto ai lavori forzati, perse un occhio per una scheggia di duralluminio. Pur nella tragedia, ebbi la fortuna di imbattermi in un colonnello, sposato ad un’italiana, che si interessò al mio caso, attivandosi perché la pena fosse minima: in altre circostanze mi sarei ritrovato in carcere per anni. Scontata la condanna e divenuto militare inidoneo al servizio, tornò a casa, dove si mise a lavorare come meccanico, coltivando sempre più nell’animo la voglia di scappare. L’occasione arrivò nel 1957: grazie all’appoggio di alcuni pescatori, che procurarono una barca a remi, da Promontore, con due amici iniziò la fuga. Era mezzanotte quando partirono. Erano le tre del pomeriggio successivo quando in mare aperto, seppur ancora in vista della costa istriana, vennero tratti in salvo da una nave italiana. Alla Questura di Trieste, contattate telefonicamente le autorità jugoslave di Pola per l’accertamento della loro situazione, vennero definiti fuorusciti, in quanto espatriati privi di documenti idonei. Un reato che in quel periodo si ripeteva con una certa frequenza e che fu sufficiente motivo per la concessione dell’asilo politico. (…)
Riavviò la sua vita a Montreal (...)
(…) Depositato in più paesi, il suo brevetto in Italia ha dovuto scontrarsi con i cavilli della burocrazia, un’antagonista ricorrente nella vita di Mazzucca, che cita l’esempio del suo riconoscimento di cittadinanza italiana: dopo 50 anni di domande e di attesa, ho scoperto nel 2002 di essere cittadino italiano, ma la comunicazione, nonostante le richieste fossero tutte partite dal Canada, era stata inviata ad Altamura.....
Condizionato nella sua carriera lavorativa per la menomazione all’occhio, causata dai lavori forzati conseguenti alla sua opzione di rimanere italiano, la sua richiesta di pensione di invalidità all’INPS è stata respinta, in quanto non erano stati versati i contributi e non era stato militare italiano (la guerra finì quando lui aveva 16 anni!!!). (...)
Con il ricordo ancora saldamente legato all’Istria, Mazzucca alla sua terra ha dedicato diverse poesie, dalle quali sono estrapolati i versi qui sotto riportati:
....mi ricordo delle aurore istriane
quando il sole indorava le montagne il cielo e il mar
e la brava gente istriana andava a lavorar
e la sera, stanca, cantando ritornava al focolar
...
non dimenticar mai i luoghi dove siamo nati.
E’ meglio provar le torture, le prigioni e gl’inferi,
che perdere il carattere d’istriani fieri.
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