Non dovremmo ricordare quanto codici nucleari, chiavi, missili e bottoni affidati all'uomo che siede all'apice della catena di comando possano decidere le sorti del mondo. Eppure, ora che tutti pensano alle parole di Vladimir Putin e all'escalation che ci condurebbe a un passo dalla Terza Guerra Mondiale, l'esempio di Vasili Alexandrovich Arkhipov è utile a confidare nei pensieri migliori.
27 Ottobre 1962, Mar dei Caraibi, poco al largo dell'isola di Cuba. In piena crisi di missili, un sottomarino sovietico classe Foxtrot, il B-59, viene intercettato durante l’embargo imposto all’isola comunista. Embargo completo di ogni nave, in entrato o in uscita, a causa dell’individuazione da parte di alcuni aerei spia inviati dagli Stati Uniti di missili a medio raggio installati a Cuba dai sovietici.
A bordo del sottomarino, che all’insaputa dei cacciatorpediniere americani custodisce siluri armabili con testate nucleari, non hanno contatti con Mosca da diverso tempo. Ma gli ufficiali hanno anche l’autorizzazione ad usarle, quelle armi nucleari, in caso di pericolo.
Cariche di profondità depotenziate - suggerite dall'allora segretario alla Difesa americano, Robert McNamara - per colpire il sottomarino avversario “senza danneggiarlo” ma in segno di avvertimento, vengono lanciate per farlo risalire immediatamente in superficie. Un sottomarino in immersione potrebbe risultare pronto a condurre atti di guerra.
A bordo del sottomarino, il risultato non è essenzialmente quello sperato. Un ufficiale del Kgb presente a bordo, Vadim Orlov, confermerà in seguito che le cariche di profondità depotenziate non apparivano più amichevoli di altre cariche di profondità. Motivo per cui il comandante del sottomarino Valentin Savitsky crede di essere stato attaccato, convincendosi che la guerra ha avuto inizio. L'ordine è di preparare le testate e di fare fuoco, appena pronti, su una delle mazza dozzina di unità nemiche che sono a portata di tiro. C’è solo una procedura di sicurezza da convalidare: per lanciare armi nucleari dal sottomarino B-59, che resta per quattro ore nelle profondità nel Mar dei Caraibi braccato dagli americani, deve avere l'accordo unanime dell’ufficiale politico Ivan Maslennikov, e del suo secondo in comando, Arkhipov. Il primo concorda con l’ordine, il secondo, allora 34enne, non concorda.
È contrario all'ordine impartito dal superiore, lo contrasta, motiva il suo agire con una logica inoppugnabile fino a convincerlo: “Queste non sono cariche letali. Stanno solo dicendo di riemergere in superficie. Sanno che siamo qui, vogliono parlarci, non dia l'ordine”. Se avessero voluto davvero affondarli, ci sarebbero riusciti, finiscono col credere a bordo del sottomarino. Il comandante ascolta il sottoposto e decide di riemergere. È tutto vero. Gli americani intimano al sottomarino di cambiare rotta e tornare indietro in rispetto dell'embargo vigente. Non effettuano nessuna ispezione a bordo. Tutti, da una parte e dall’altra dei binocoli tirano un sospiro di sollievo.
La crisi dei missili cubani che ha visto il presidente americano John F. Kennedy e il segretario generale comunista Nikita Chruščëv seduti al tavolo del "braccio di ferro" nucleare per due lunghissime settimane, terminerà il giorno seguente, alle condizioni che conosciamo. Ma trascorreranno 50 anni prima che il mondo intero conosca la verità su questa storia incredibile: uno dei punti più vicini all'inizio della terza guerra mondiale che il mondo abbia mai sfiorato.
Non è difficile supporre infatti quale sarebbe stato il degenerare degli eventi se il B-59 avesse ignorato il violento invito a risalire in superficie; se prima di venire affondato avesse lanciato armi nucleari contro una o più unità della Marina Militare statunitense che erano schierate al largo di Cuba. La “reazione a catena” innescata da quel primo colpo avrebbe condotto in poche ore alla guerra totale: fino al lancio, probabile e non auspicabile, di missili balistici intercontinentali armati con testate nucleari.
Arkhipov è morto all'età di 72 anni, nel 1998. Nel 2017 l'Institute of Engineering and Technology at the Savoy Place di Londra ha deciso di rendere omaggio a quell'eroe nascosto alla storia rintracciando la figlia Yelena Andriukova, e il nipote Sergei Andriukova, per consegnare loro un premio d'encomio a nome di tutto il mondo. Nessuno nella famiglia di Arkhipov aveva mai sentito i risvolti drammatici e straordinari di quella storia. Il comandante in seconda del sottomarino B-59 l’aveva tenuta segreta fino al giorno della sua morte. Secondo l’intervista condotta dal giornalista americano che seguì i fatti per il The Atlantic, quando i familiari del vecchio Vasili lo trovavano immerso nella scrittura dei suoi ricordi di quel giorno, alla domanda di cosa stesse scrivendo, pare fosse solito rispondere: "Non posso dirlo adesso, ma un giorno lo saprete". In seguito alle conferme tutti i documenti desecretati esistenti sull’accaduto, Valisi Arkhipov è stato soprannominato dalla storia "l'uomo che ha salvato il mondo”.
Oggi e nei momenti futuri che precedono ogni escalation che può condurre il mondo verso l’oblio,
confidiamo nell’esistenza di centinaia di uomini come Arkhipov. Gli eroi che non smetteremo mai di celebrare. Siate certi che da una parte e dall’altra di questo assetto bipolare che stanno di nuovo imponendoci, ve ne sono.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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