Gentile di nome e di fatto

Nelle lettere alla futura moglie Erminia Nudi amore, giudizi filosofici e l'amicizia con Croce

Gentile di nome e di fatto

Secondo la testimonianza di un suo compagno di studi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, Giovanni Gentile era un bel giovane «alto, magro, bruno, con una selva di capelli nerissimi tagliati a spazzola». I suoi docenti tra questi gli storici Ettore Pais e Amedeo Crivellucci, il letterato Alessandro D'Ancona e il filosofo teoretico Donato Jaja ne apprezzavano l'intelligenza e l'impegno mentre con i compagni di studi alcuni dei quali, come Gioacchino Volpe e Giuseppe Lombardo-Radice sarebbero diventati famosi aveva stabilito un solido rapporto di amicizia cementato da comuni interessi. Dopo il conseguimento della laurea e dopo il corso di perfezionamento presso l'Istituto di studi superiori di Firenze, vero e proprio tempio della cultura classica, nel 1898 Gentile, che non aveva ancora compiuto ventitré anni, ottenne il primo incarico di insegnamento presso il liceo di Campobasso.

Il futuro filosofo dell'«attualismo» era nato in Sicilia, a Castelvetrano, nel 1875 da una agiata famiglia borghese e, sebbene legato sentimentalmente alla sua terra d'origine e alle sue antiche tradizioni culturali, si trovò, così, a dover iniziare la propria vita lavorativa in un'altra regione. Prese in affitto una stanza in una casa in prossimità del liceo con una finestra che dava sulla vallata e che, come avrebbe scritto al suo maestro Jaja, lo rendeva felice: «A quella finestra mi pare che mi si allarghino i polmoni e il cuore e la mente mi si rischiarino». In quella casa il giovane professore di liceo conobbe Erminia Nudi, la figlia del proprietario, e se ne innamorò. I due si sarebbero sposati nel 1901 e la loro unione sarebbe rimasta salda e inossidabile.
Con una bella introduzione di Hervé A. Cavallera, la casa editrice Le Lettere, che ha in catalogo l'opera omnia del filosofo, pubblica, in una edizione molto bella e curata, una suggestiva riproduzione in facsimile dell'epistolario di Gentile con la futura moglie. Il volume dal titolo Lettere alla fidanzata 1898-1900 (pagg. IL-408, euro 34) è la testimonianza di un amore profondo, sentito e vissuto, quasi filosoficamente, come momento di autorealizzazione sentimentale. Un passaggio è eloquente: «L'amore nostro è relazione spirituale d'anime; tu lo sai così bene, e spesso me lo ricordi. Non dovremmo quindi mai arrestarci alla espressione esteriore del volto, al suono talvolta quasi irriflesso delle parole; ma fin nell'anima, tendere, e starcene paghi, alla voce del sentimento, saldo e sempre immutabile». E ancor più eloquente e chiarificatrice è la contestazione di quel proverbio spagnolo secondo il quale chi si «accasa per amore» dovrà vivere con dolore: «Il proverbio spagnolo è grossolano e falso come tutti i rudi pensieri che non penetrano delicatamente dentro le ascose pieghe dell'amore umano. Parla dell'amore che è impeto subitaneo di passione infiammatasi nei sensi, e che si spegnerà come tutte le passioni, che son fuoco di paglia alle prime soddisfazioni d'amore. Ma è questa passione l'amore? Né tu, né io abbiamo mai pensato a una tale passione, e sentiamo, invece, altri ed altissimi affetti, che non possono compirsi nella soddisfazione di un'ora, di un giorno, di un anno, perché sono aspirazioni infinite e vorrebbero per sé l'eternità».

Questo epistolario di uno dei maggiori pensatori italiani del secolo passato è importante, però, non soltanto come testimonianza di una profonda storia d'amore ma anche come autoritratto di un giovane professore, già conosciuto nel mondo dell'accademia per alcuni suoi lavori a cominciare dal volume Rosmini e Gioberti, dal carattere romantico e generoso anche se poco espansivo e talora segnato da tratti di una «durezza» che egli all'amata definiva «siciliana». E, soprattutto, consente di conoscere in dettaglio molti particolari della biografia intellettuale del Gentile di quegli anni, certe sue aspettative accademiche, certi suoi progetti di lavoro, certe sue esplosioni polemiche nei confronti di qualche «pigmeo» del pensiero al quale, pure, era stata innalzata una statua dai «piedi di creta» destinata ad essere «facilmente rovesciata».
Quando conobbe la sua futura fidanzata, prima, e moglie, poi, Gentile aveva già stabilito un solido rapporto epistolare e di collaborazione con Benedetto Croce: un rapporto la cui intensità, anche dal punto di vista umano, emerge tutta dalle lettere a Erminia. E fa capire come e perché questi, molti anni dopo, apprendendo la notizia dell'assassinio di Gentile, dal quale ormai si era allontanato per le divergenze politiche, non potesse trattenere le lacrime.

Nelle lettere alla fidanzata, Gentile fa continui riferimenti a Croce, che, quand'egli si recava a Napoli, lo accoglieva sempre come amico, lo invitava a cena, gli presentava colleghi, lo introduceva in società, lo accompagnava in biblioteca, lo supportava in tutti i modi. Il giovane professore era, insomma, quasi di famiglia a casa del filosofo, in quella nuova abitazione dove questi s'era trasferito da poco e che lo aveva colpito: «La casa nuova di Croce è una vera reggia. Egli la sta ornando di molti bellissimi mobili nuovi. Ha fatto tre o quattro stanze di biblioteca con armadi di noce, un paio dei quali farebbero anche a me tanto comodo. Naturalmente tutto ancora è sottosopra; perciò anche volendo, non sarebbe stato possibile che io vi rimanessi a dormire. Ma sono invitato tutti i giorni a pranzo». E proprio con Croce egli discuteva a voce continuando un dialogo intrapreso per via epistolare e ora consegnato ai volumi del carteggio fra i due in via di pubblicazione per i tipi dell'editore Aragno dei suoi progetti e interessi del momento: la filosofia del Risorgimento, il marxismo, la pedagogia. Quando Croce si esprimeva positivamente sul suo pupillo, questi si affrettava a scriverne, con un pizzico di malcelato orgoglio, alla fidanzata: «Il Croce rimase poi persuaso di tutte le singole parti della tesi da me sostenuta in quella importante memoria sul Concetto della Pedagogia. Le idee che io vi voglio distruggere sono così diffuse e radicate che sarà molto difficile per tutti intendere bene ciò che io ho detto».

Se è vero che le lettere di Giovanni Gentile alla fidanzata costituiscono un tassello importante per mettere a fuoco il vero rapporto fra i due grandi pensatori idealisti, è anche vero che in esse sono presenti molti altri protagonisti della cultura del tempo, incrociati in quegli anni dell'ultimo scorcio dell'Ottocento dal giovane professore di persona o per via epistolare: da Antonio Labriola a Georges Sorel, da Fortunato Pintor a Ettore Pais.

Basterebbe questo solo fatto, la presenza cioè nelle sue pagine di tanti illustri studiosi, a rendere interessante la lettura dell'epistolario del filosofo. Ma c'è di più: la bellezza, anche letteraria, nonché la freschezza e la sincerità di sentimenti di un epistolario intimo ma non banale.

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