Il Giappone che non ti aspetti nei Quaderni di Igort

Nel terzo dei tre Quaderni giapponesi prende forma l'altra dimensione del Giappone, caratterizzata dal macabro, dagli eccessi e dal grottesco

Il Giappone che non ti aspetti nei Quaderni di Igort

Viaggiare nell’impero dei segni, inseguire un vagabondo lungo il suo peregrinare senza meta e, infine, addentrarsi nell’oscurità abitata da mostri di ogni tipo. Nel corso degli anni, sono stati scritti centinaia di libri sul Giappone. Libri per decifrarne i segreti, analizzarne le mille sfaccettature, sottolinearne le stramberie ed evidenziarne le particolarità. Pochi testi, tuttavia, sono riusciti a scandagliare gli abissi di una nazione millenaria, immersa nel passato ma, allo stesso tempo, proiettata nel futuro. Una piacevole eccezione è rappresentata dalla trilogia dei Quaderni giapponesi, realizzati da Igort e ora proposti in blocco dalla casa editrice Oblomov.

L’ultimo dei tre Quaderni, intitolato Moga, Mobo, Mostri, segue Il vagabondo del manga e L’Impero dei segni, usciti rispettivamente, nella loro prima edizione, nel 2015 e 2017. Lo stile dell'opera ricalca il solito modus operandi al quale ci aveva abituati Igort, pseudonimo di Igor Tuveri, illustratore, fumettista, narratore, editore, regista e musicista. Non possiamo parlare di semplice graphic novel, tanto meno di saggio o testo narrativo. L’autore, in maniera geniale, fonde più generi per dar vita a libri eleganti e dinamici.

L'altra faccia del Giappone

Il filo conduttore è il Giappone, psicanalizzato a fondo attraverso l’analisi di attori giapponesi, artisti, disegnatori, episodi storici, curiosità culturali e perfino esperienze autobiografiche dell’autore. Le pagine, di carta Arena Ivory Rough, sono ravvivate da famose illustrazioni di samurai, mostri e fumetti. La descrizione fisica dell’opera è un passaggio fondamentale, visto che la lettura della trilogia implica il coinvolgimento di quasi tutti i sensi, ed è arricchita da packaging di classe.

Nel terzo volume, Mog, Mobo, Mostri, Igort squarcia l’apparente velo di perfezione che circonda il Giappone. Una superficie perfetta e regolare, che in realtà nasconde una dimensione ben diversa, caratterizzata dal macabro, dagli eccessi e dal grottesco. Ha radici antiche, questa dimensione. Basti pensare ai kibyoshi, i fascicoli stampati nel periodo Edo, a tutti gli effetti antenati del fumetto adulto giapponese.

I kibyoshi avevano in media una decina di pagine, e le loro storie erano popolate dagli spiriti del folclore nipponico. La loro produzione andò avanti dal 1175 al 1806, quando subirono gli effetti della censura. Erano stampati con la tecnica dell’ukiyo-e, con la xilografia, ovvero matrici in legno, carta di riso e inchiostro di china nera. Le storie, spesso comiche e irriverenti, erano ambientate nei bordelli di Edo, il vecchio nome per indicare Tokyo.

Quaderni giapponesi di Igort

L'impatto della modernità

Nel 1868 il Giappone feudale si apre gradualmente all’influenza dell’Occidente ed entra nell’Epoca Moderna. Niente sarà più come prima. La scintilla che fa scoppiare l’incendio culturale arriva dal Modernismo (Modanizumo), che in appena un ventennio (1912-1937) cambia le carte in tavola. La parola d’ordine diventa innovare. Non solo nelle opere letterarie, ma anche nell’abbigliamento e in tutti i lati dell'esistenza.

Nascono così le Moga (Modan Garu, storpiatura giapponese di Modern Girl) e i Moba (Modern Boy), ragazze e ragazzi giapponesi che abbandonano lo stile di vita tradizionale per abbracciare i costumi occidentali. Nascono anche movimenti che reinterpretano l’arte del passato in chiave moderna. È il caso dell’Ero-Guro Nansensu, un fenomeno artistico-letterario sviluppatosi in maniera pressoché spontanea, che combina l’erotismo ad elementi macabri, bizzarri, frivoli, e talvolta privi di senso.

Il Giappone, inoltre, è sempre stato affascinato dai mostri, a partire dalla tradizione folclorica piena di fantasmi e spiriti, per poi arrivare ai mostri del dopobomba, i kaiju, come l'icona pop Godzilla. La modernità, insomma, ha semplicemente ridato nuova verve a un filone piuttosto antico.

Tanti gli artisti citati nel terzo dei Quaderni giapponesi. Citiamo Maruo Suehiro, illustratore e mangaka eccezionale nell’incarnare il gusto dell’atrocità, nel realizzare tavole tanto artisticamente affascinanti quanto ripugnanti (spruzzi di sangue, occhi che schizzano fuori dalle orbite, viscere ovunque). E ancora: Yamamoto Takato, erede di Yoshitoshi, autore delle "tavole insanguinate", gli scrittori Mishima, Kawabata e Tanizaki, e Saeki Toshio, artista visionario maestro del macabro.

Una delle sue citazioni più famose è emblematica: "Ho imparato che la bellezza senza veleno è noiosa". E il Giappone underground è pieno di veleno. Un veleno raffinato che sembra riemergere dal passato remoto per riempire le zone d’ombra della nostra esistenza.

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