I polacchi senza patria che lottarono da eroi nell'inferno di Cassino

Il nuovo saggio di Luciano Garibaldi ricostruisce le vicende del secondo corpo d'armata del generale Wladislaw Anders

I polacchi senza patria che lottarono da eroi nell'inferno di Cassino

Anche in chi della divulgazione storica è come me veterano un libro come Gli eroi di Montecassino firmato da Luciano Garibaldi (Oscar Mondadori,175 pagine,11 euro) suscita emozione e riflessione. Perché la vicenda del corpo di spedizione polacco che in Italia si battè valorosamente contro i tedeschi sintetizza le grandezze generose ma anche le contraddizioni ipocrite dei “liberatori” angloamericani. Dapprima l'apporto dei volontari polacchi era consistito soprattutto nelle loro squadriglie che parteciparono alla battaglia aerea d'Inghilterra dalla quale Hitler fu bloccato. Ma quei pochi divennero molte migliaia. I polacchi trovarono poi un comandante di grande intelligenza e prestigio nel generale Wladislaw Anders. Questi, reclutando e addestrando i connazionali sfuggiti ai nazisti e ai sovietici e disposti a combattere -molti di loro erano stati costretti a indossare la divisa della Wehrmacht ed erano stati fatti prigionieri- costituì un corpo d'armata -il II nella classificazione angloamericana- non solo efficiente ma potente. Che fu poi destinato al teatro d'operazioni della nostra penisola prostrata dalla resa senza condizioni e in gran parte soggetta ancora al dominio nazista. Voglio qui annotare che Garibaldi, con slancio di patriota, ha allineato una serie dì episodi dell'otto settembre 1943 che sembrano formare gli anelli d'una resistenza eroica. No, l'8 settembre fu nel suo complesso vergognoso, un rastrellamento tedesco e il “tutti a casa” italiano.

Polacchi ferventemente alleati agli angloamericani, dunque. Ma non senza riserve. Tra i moli episodi che Garibaldi narra ne voglio citare uno. Nell'agosto del 1943 i reparti polacchi erano stati trasferiti in Palestina. A quel punto sui quattromila ebrei presenti nella truppa tremila disertarono e si aggregarono all'Irgun, l'armata clandestina antiinglese. Il sogno della terra promessa era stato più forte della realtà antinazista. Tra i disertori era Menachem Begin, futuro Primo ministro d'Israele e premio Nobel per la pace.
Anders dovette accettare una situazione terribile. I sovietici, che avevano preso accordi con Hitler per la spartizione della Polonia, erano ormai alleati a pieno titolo di Roosevelt e di Churchill: apostoli delle libertà democratiche ma prodighi di gesto elogiativi nei confronti di uno dei più feroci tiranni mai apparsi sulla faccia della terra. Il generale ebbe anche colloqui con Stalin, e gli rivolse domande sulle fosse di Katyn e sulle vicende di migliaia d'ufficiali polacchi. Il dittatore non si scompose, e bofonchiò frasi risapute secondo le quali gli scherani di Lavrentij Berija non avevano torto nemmeno un capello a nessun ufficiale polacco. Anders e i suoi uomini erano tutti antinazisti e anticomunisti. Ma furono inquadrati in una alleanza forzata con uno dei loro nemici giurati. E dovettero assistere alla sequela di cedimenti occidentali in pro di Stalin.

Questo dilemma, questo tormento Garibaldi lo racconta molto bene. Così come racconta bene il valore del II corpo nella conquista di Montecassino e poi in altre imprese ad Ancona e Bologna. Il mio parere è che i capi militari inglesi e americani -tra l'altro divisi da meschine rivalità come quella per l'ingresso in Roma- fossero molto mediocri. Avevano il dominio del cielo e forze di terra soverchianti. Il comandante tedesco Kesselring si dimostrò, in condizioni di avvilente inferiorità, molto più capace di loro Il II Corpo si battè con estremo valore (i suoi morti giacciono in un cimitero militare) ma quell'attacco fu una follia. Lo fu, agli occhi d'un incompetente di tattica e di strategia quale sono, perché l'accanirsi contro una roccaforte anziché aggirarla -che era poi la balorda tecnica offensiva di Cadorna- esige molte perdite e dà frutti avari e tardivi. Fu inoltre una follia perché nella bellissima abbazia non c'erano soldati e armamenti tedeschi. Della loro esistenza era tuttavia convinto il generale neozelandese Bernard Freyberg che tempestava il suo superiore, il generale americano Clark, perché facesse bombardare e radere al suolo quel covo di nemici. Alla fine fu purtroppo accontentato, le bombe uccisero centinaia di civili rifugiatisi nell'abbazia distrutta. Clark ammise poi che si era trattato di «un tragico errore».

Che bravo Garibaldi nello scovare, in questa miniera di grandi eventi e di minuzie, collegamenti impensati. Ricorda in una pagina «il valore e le gesta di una piccola ma eroica unità formata da volontari italiani e comandata da ufficiali e sottufficiali polacchi, la 111 compagnia dei pontieri. Vi si arruolò un ragazzo sedicenne, Mino Pecorelli.

Che negli anni settanta pubblicava il settimanale Op (Osservatore politico) e che fu assassinato. Perché -così ritennero alcuni magistrati- si apprestava rivelare fatti compromettenti per il divo Giulio. Anche questo, forse, «un tragico errore».

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