Instancabile voce anticomunista durante la Guerra fredda, Isaiah Berlin (1909-1997) diventò uno dei più importanti pensatori liberali del dopoguerra, autore di opere quali Il riccio e la volpe (1953) e Due concetti di libertà ( 1958). Gli inglesi amavano paragonare questo fine pensatore di origine baltica a David Hume, il filosofo scozzese, per la profonda gaiezza intellettuale, l’amore per la chiarezza e il gusto per le ironie della storia. Ma Berlin possedeva in più una irriducibile passione per le idee e un senso del tragico nella vita dell’uomo.Assieme a una travolgente passione per la musica, per la conversazione brillante, per la penna ironica, e sopra ogni cosa per il pensiero liberale. Non si stancava di ribadire di essere stato un liberale tutta la vita, di non poter fare a meno di stare «nel mezzo », per quanto scomodo e spesso punitivo fosse stare «all’estrema destra della sinistra e all’estrema sinistra della destra ». E dalla metà degli anni sessanta del secolo scorso fu sempre più osteggiato dalla nuova sinistra e più tardi della nuova destra. «Tutti i miei scritti politici come I Quattro saggi sulla libertà , Due concetti di libertà , L’inevitabilità storica , sono stati attaccati con uguale veemenza da comunisti, socialisti, conservatori, cattolici e cristiani di ogni genere », mi spiegava durante un incontro negli ultimi anni. In Italia aveva avuto legami intellettuali con Salvemini, Chabod, Morra, stimava Momigliano e nutriva un ammirazione profonda per lo storico Franco Venturi, «un uomo nobile, un amico»,per il quale scrisse l’introduzione all’edizione inglese del suo libro Il populismo russo . Berlin amava gli italiani, riconosceva in loro «una tenacia che li avrebbe sempre fatti uscire da ogni crisi».
Nato a Riga in Lettonia allora parte dell’Impero russo nel 1909 in una famiglia della ricca borghesia ebraica, dopo un’infanzia idilliaca in campagna come inun racconto di Turgenev e un adolescenza meno felice a Pietroburgo durante la Rivoluzione d’ottobre, emigrato in Inghilterra nel 1921 fu in breve tempo al centro della vita intellettuale britannica.
La sua era stata una vita sofisticata e brillante, inviti alla casa Bianca, incontri con Georg Solti, Vladimir Nabokov, Igor Stravinski,Ezra Pound erano all’ordine del giorno, eppure detestava la superficialità, il «vuoto virtuosismo» caratteristico del suo secolo, esasperato nel nostro, «l’enorme spreco di tempo in conferenze, i premi alla vanità, la presunzione, l’esibizionismo...» Conosceva anche i suoi limiti più acutamente dei suoi critici, «Ho impiegato anni a scoprire di non essere un filosofo nel vero senso...», annota in una lettera rimpiangendo di non aver scritto un’ opus magnum , «produco solo frammenti...».Ma sul valore del suo pensiero e sull’autenticità dei suoi saggi non ci sono dubbi. Il suo vasto epistolario coglie con concisione e incisività il suo dichiarato pragmatismo, la sua resistenza agli alle incrollabili certezze, agli assoluti morali. In una lettera scrive che «I valori si scontrano, non esistono soluzioni ultime, un valore può solo affermarsi alle spese di un altro, qualsiasi cosa si scelga comporta il sacrificio di un’altra ». Il terzo e penultimo volume delle sue lettere uscito in questi giorni per Chatto& Windus a Londra Isaiah Berlin, Building: Letters 1960-1975 (a cura di Henry Hardy e Mark Pottle), abbraccia gli anni della guerra fredda, della presidenza e morte di John Kennedy, della crisi di Cuba, gli anni della guerra dei sei giorni nel 1067 in Israele, di Nixon e del Watergate, l’agonia della Guerra in Vietnam.
In questo periodo fonda a Oxford un nuovo centro di studi e ricerche,il«Wolfson College», che oltre la sua fama di pensatore e storico delle idee conferma la sua carismatica leadership intellettuale. Sono anche gli anni in cui insegna nelle prestigiose università americane di Harvard e Princeton, e quelli in cui pubblica alcune delle sue opere più importanti come Quattro saggi sulla libertà , il testo chiave del suo pluralismo liberale, e gli studi su Vico e Herder. Gli anni in cui combatte la visione scientifica della storia, scrive saggi su Tolstoj, Herzen, Verdi, Disraeli, George Sorel, Machiavelli, Turgenev. Trascorre le sue estati a Portofino e Paraggi, viaggia in lungo e in largo in Europa, in India e in Iran.
Acuto osservatore e sottile narratore della commedia sociale e intellettuale del periodo, tocca nell’epistolario svariati e infiniti temi, e le lettere, che siano commenti o riflessioni, sono tutte percorse dal suo celebre umorismo,dall’ironia, dal calore umano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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