James Laughlin, il poeta con il senso dello swing

James Laughlin, il poeta con il senso dello swing

Chiuso il libro di James Laughlin, Una lunga notte di sogni (Guanda) nell’ottima traduzione di Massimo Bacigalupo, ho l’impressione di aver letto una raccolta di poesie estremamente, brillantemente autobiografiche, e insieme piene di rimandi culturali che più non si potrebbe, con una ampia cavalcata tra secoli di letteratura, come soltanto un dilettante di genio può scrivere.
Laughlin è quello che per convenzione chiamiamo un «poeta minore». Ma non così minore come ce lo presenta Enzo Siciliano, con quella svagatezza snobistica che raramente coglie nel segno, quando si parla di poesia. Laughlin è discendente di una dinastia di industriali dell’acciaio di Pittsburgh, un appassionato sciatore, e il creatore delle edizioni «New Directions», che ebbero il merito di pubblicare Nabokov e Henry Miller. Ma tutto questo non basterebbe a farcelo interessare come poeta. Se la lettura del suo libro concede momenti di vero piacere vitale e intellettuale, è perché Laughlin parla senza troppi schermi, in un linguaggio tutto frizzante e tutto tagli, tra swing e jazz freddo, di donne, amori, ricordi, epifanie, in un insieme dal suo strano fascino. Di donne, ce ne è una galleria: desiderate mentre escono fresche e bellissime da una notte in abito da sera, amate in wagon-lit, possedute in auto posteggiate, incontrate in Italia come Leontina, dal golf bianco e stretto con niente sotto, donne ragno capaci di prendere nella tela. Di sesso si parla con esplicito pudore, senza metafore. L’altare dell’amore è il sesso femminile, a cui il poeta s’inchina. Ed è col suo sesso che una ragazza di Harlem incamera direttamente un biglietto da cinque dollari posato sull’orlo del tavolo. Poi c’è il tema dei ricordi familiari. L’Irlanda degli avi, il gaelico, Yeats, evidentemente non amato, la cameriera che durante una Pasqua a Pittsburgh parlò a lui ancora troppo bambino della passione di Gesù e fu licenziata per questo, la zia che finì per affidare tutto della sua vita all’angelo protettore, fuorché le finanze che continuò ad affidare a un banchiere di Wall Street...
Poeti del passato e contemporanei abitano tutte le pagine. Ci sono omaggi a Catullo, a Orazio, a Marziale, a Leopardi, e in particolare all’Infinito, parafrasato in un testo, c’è l’insonne e maledetto Delmore Schwartz, quello che ispirò a Saul Bellow la figura del poeta nel Dono di Humboldt, c’è Dylan Thomas nell’obitorio di New York, c’è Tennessee Williams che chiede aiuto per sbarazzarsi di un’improvvida corteggiatrice. E naturalmente c’è Ezra Pound, deliziosamente ritratto a Rapallo. Alla fine, questo poeta è leggero ma nel senso migliore del termine.

Basta leggere un gioiello come Persefone mette i jeans: dove una ragazza oggi con il suo sorriso fa ancora arrivare la primavera, schiude i semi che rinnovano la terra e fanno sbocciare nuovi fiori, scioglie la neve, calma il mare. Miracolo della bellezza. E, sempre, della poesia.

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