È l'insostenibile leggerezza del libro a fargli scalare le classifiche, o la fama del suo autore, garanzia della sostenibile banalità dell'essere? Prendiamo Milan Kundera, il cui ultimo romanzino esce in Italia «in anteprima mondiale», così annuncia la fascetta Adelphi, e ti viene da pensare che nessun altro lo voleva, oppure era talmente leggero che il traduttore l'ha finito di scrivere prima dell'autore. Titolo forviante: La festa dell'insignificanza, in quanto magari fosse insignificante, la festa dell'imbecillità sarebbe stato già meglio, ma la storia è talmente ridicola da essere indescrivibile. In ogni caso vi insegno un trucco: come la banalità del male si vede nelle riflessioni della Arendt, quella dei romanzi viene fuori nelle riflessioni sul sesso.
Nell'insostenibile Kundera c'è questo Alain, al quale piace l'ombelico delle ragazze, e ci pensa e ci ripensa dall'inizio alla fine: «Se un uomo (o un'epoca) vede al centro della seduzione femminile nelle cosce, come descrivere la peculiarità di tale orientamento erotico?». Già, come descriverla? Ombelicofilia? Belly-button fetish? Ma no, lui «improvvisò una risposta: la lunghezza delle cosce è l'immagine metaforica del cammino, lungo e affascinante, che conduce alla realizzazione erotica; infatti, si disse Alain, anche in pieno coito la lunghezza delle cosce conferisce alla donna la magia romantica dell'inaccessibilità».
Sarà la prostata di Kundera, sarà il rimbambimento senile, certi pensieri se me li facesse mio padre lo porterei di corsa a fargli una risonanza magnetica pensando a un ictus, a un'ischemia, a un tumore al cervello. Tra l'altro il rompicampo ombelicale ritorna fino alla fine, tra aneddoti per lettori ritardati e boutandes prostatiche, per arrivare alla conclusione che «non puoi sbagliarti sulle natiche di colei che ami. Le natiche amate le riconosceresti tra centinaia di altre. Ma non puoi identificare una donna che ami dall'ombelico. Tutti gli ombelichi sono uguali». Che dire? Un genio, un genio al contrario, con un ombelico al posto del cervello, ma comunque un genio, Milan Kundera.
Che secondo me fa sembrare un genio perfino Fabio Volo. Basta prendere l'ultimo Volo appena uscito, La strada verso casa (Mondadori), e fare il test del sesso. Qui al posto di Alain c'è un Marco che si cala «nelle zone più profonde di sé, alla ricerca di risposte ultime, come uno speleologo dell'anima» ma non è lui che fa sesso, è l'altro fratello, Andrea, che va a donne, per esempio con Irene. Descrizione dell'amplesso, rigorosamente vietato ai maggiori di dieci anni: «Irene era calda, bollente, bagnata. Accogliente. Andrea avrebbe voluto lasciare ogni controllo, non trattenere nulla e abbandonarsi completamente al piacere, a quella vertigine che non aveva mai provato in maniera così potente. La scopata durò solo qualche minuto, Andrea era stato molto passivo, ma la notte fu lunga, fecero l'amore fino all'alba. Al mattino, prima di addormentarsi non gli sembrava possibile aver raggiunto tre orgasmi».
A parte l'inimitabile prosa da Harmony riscritto da Forrest Gump, che Kundera se la sogna, è molto interessante che la prima volta scopino in tre minuti e la seconda facciano l'amore fino all'alba per altri due orgasmi, mentre in genere uno normale al limite fa l'amore tre minuti e scopa per il resto del tempo. Ammesso si possa scopare e fare l'amore con le stessa persona. In ogni caso «Andrea imparava molte cose sull'amore. Baciarla, leccarla, toccarla, darle piacere prima di iniziare a fare l'amore. Anche se l'impulso, quando la vedeva nuda, era di infilarlo subito», e qui il lettore di Volo sobbalza e pensa: ahi ahi, che sporcaccione! Tuttavia se ne deduce che quando lo infilava, lei non provava più piacere, forse ce l'aveva troppo piccolo o troppo grosso, meno male la leccava prima, Volo sta attento a questi dettagli, è un ragazzo sensibile, mica un maschilista.
Ma infine, sentite che gossip ho scoperto al Volo: «Il profumo della pelle di Irene gli ricordava l'estate. La fragranza delle ciliegie, le albicocche, le pesche. L'odore di pino, quello del mare». Non soffermatevi su queste metafore olfattive da bagnoschiuma, piuttosto: Irene, Irene, Irene... non vi ricorda qualcuno? Ma certo! È il terzo libro da classifica di questi giorni, l'ultimo Erri De Luca intitolato proprio Storia di Irene (Feltrinelli), la cui pelle «è fitta di peluzzi gialli, uno strato di fiori di ginestra. L'odore è di salmastro, di barca da pesca».
È evidente che o Erri De Luca e Fabio Volo sono la stessa persona, o l'uno è il ghost writer dell'altro, oppure bisognerebbe dirgli che questa Irene, oltre a puzzare di mare e di pesce, è veramente una gran troia, e non deve essere un genio neppure lei, insomma una che va con questi qui. Se poi ha l'ombelico, come è probabile, state certi che è la stessa che vuole scoparsi Kundera.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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